Documento LabiratoriPrecari

Riceviamo e pubblichiamo un documento elaborato da LaboratoriPrecari di Roma 

Contro la guerra all’intelligenza uniti nella marcia del Quinto Stato

Siamo ricercatori, dottorandi, assegnisti, contrattisti e freelancers
della conoscenza. Siamo parte del Quinto Stato del lavoro
intellettuale, relazionale, di cura. Viviamo in un’economia che si
regge sul lavoro della conoscenza, sebbene la nostra professionalità
venga disprezzata dalle istituzioni universitarie e rimossa da tutti i
governi che dal 1989 muovono guerra all’intelligenza generale e ai
saperi pubblici, critici, specialistici.

 Siamo apolidi in questo paese. Non abbiamo cittadinanza nel fortino
delle garanzie salariali disegnate per un mercato del lavoro fordista
che ormai non è più realtà. Come stanno facendo i lavoratori dello
spettacolo contro la Legge Bondi sugli enti lirici anche noi
rifiutiamo di restare invisibili, rivendichiamo tutele per la
malattia, la disoccupazione e la maternità, una riforma radicale del
Welfare per tutti i lavoratori precari, creativi e non creativi,
indipendenti, autonomi. Un esercito che il Cnel ha calcolato in 3,7
milioni di persone che non hanno un lavoro stabile né una continuità
di reddito, lavorano a contratto, a progetto, con le borse di studio o
gli stage e infine a partita Iva. Domani saremo ancora di più e saremo
dappertutto in una crisi che si annuncia molto lunga e non produrrà
più occupazione a tempo pieno.

 Due anni fa ci siamo opposti con l’Onda al disegno di legge Gelmini
sull’università. E’ stato il primo movimento generale ad avere reagito
contro la dequalificazione generalizzata del sapere nelle scuole e
nelle università imposta dalla riforma degli ordinamenti didattici,
dalla riduzione degli investimenti pubblici nella formazione e nella
ricerca, dall’applicazione delle norme sulla valutazione dei crediti.
Secondo il Comitato per la valutazione dell’università e la Corte dei
Conti, dopo avere applicato per primo e integralmente il processo di
Bologna, con il 3+2 il nostro paese ha visto diminuire negli ultimi
anni il numero dei laureati, registrando la crescita della
disoccupazione tra i neo-laureati, provocando la crescente
dequalificazione dei saperi trasmessi.

 Questo declino non ha spostato di un millimetro l’orientamento di
chi governa l’università. Hanno continuato a pensare che l’università
non rappresenta più uno strumento di riscatto per gli studenti che per
motivi economici non hanno beneficiato di pari opportunità durante il
periodo scolastico: al contrario, gli atenei si incaricano di
aumentare le disparità tra gli studenti all’inizio del percorso
universitario ignorando la correlazione tra le condizioni economiche
individuali e l’accesso a un’istruzione di qualità. Quando la riforma
Gelmini sarà approvata anche il diritto allo studio verrà triturato in
questa corsa al ribasso. Secondo la riforma sarà la Consap Spa, una
società  di diritto privato, a erogare prestiti per gli studenti
meritevoli indipendentemente dalle loro condizioni economiche. La
portata simbolica di questo provvedimento è evidente. Agli studenti
dicono di vivere una vita di debiti e senza speranza di cambiarla.
Tutto dovrà restare immobile. Ma sarà davvero così?

 Abbiamo continuato ad opporci in tutti questi mesi alla violenta
svalorizzazione in cui ogni risorsa intellettuale è intercambiabile e
per questo viene precarizzata. Sappiamo che questa sarà l’ultima, e
definitiva, riforma dell’università che ci espellerà tutti. Nessun
accesso a Torino, dove saremo più di 3 mila che da oggi al 2013 ad
essere allontanati dall’insegnamento, dalla ricerca, da una carriera
fatta di passione e di compromessi, che produce risultati e delusioni,
da una vita che abbiamo voluto autonoma e libera che da troppi anni
sta ferma e ristagna. La cooptazione accademica distrugge il nostro
tempo di vita.

 Saremo molti di più a Roma. Qui noi rifiutiamo la marginalizzazione
dei senati accademici, il cui ruolo deve essere anzi valorizzato e che
devono prevedere rappresentanze non simboliche di tutte le componenti
dell’università, inclusi studenti e precari. Vogliamo il
riconoscimento ai lavoratori precari del diritto di eleggere proprie
rappresentanze nei principali organi accademici e di partecipare
all’elezione delle principali cariche accademiche, rettore incluso.

 Saremo moltissimi a Napoli, a Bologna, a Milano, a Cagliari, a Bari a
perdere il reddito. I nostri atenei hanno gravissimi problemi a
chiudere il bilancio di quest’anno perché i tagli voluti dal ministro
Tremonti al Fondo Ordinario di finanziamento (Ffo) degli atenei e
imposti all’università dalla legge 133 stanno distruggendo la normale
– e da sempre deficitaria e per noi escludente – amministrazione.
Sappiamo che l’anno prossimo i tagli saliranno al 14,7 per cento
dell’Ffo e molti atenei aumenteranno le tasse, sacrificheranno i
nostri contratti, venderanno sedi spesso acquisite senza una
programmazione economica degna di questo nome. Noi chiediamo di
cancellare i tagli introdotti dalle leggi 126/08 e 133/08 e di
rifinanziare il sistema universitario.

 La risposta della comunità accademica è irresponsabile. Rassegnata,
silente o connivente, in attesa di nuove e futuribili convergenze con
la riforma, a caccia del vantaggio personale o della propria
corporazione, nessuno tra i professori sembra volersi porre il
problema di una didattica di qualità elevata e garantita a tutti gli
studenti; di un investimento serio e duraturo nel settore strategico
dell’istruzione pubblica e, ovviamente, di un accesso non familistico
né corporativo alla professione della ricerca. Nel nostro settore,
come in tutta l’economia della conoscenza in Italia, si va nella
direzione opposta e si attua una contro-riforma perché il male
incancrenisca. La loro guerra all’intelligenza generale vuole
accelerare il declino e renderlo irreversibile. Questa economia
stracciona ha bisogno di eserciti di precari il cui sapere sia
altamente deperibile e sostituibile. Cosa dicono i docenti? La
sconfitta sarà dell’università, non saremo certo noi a pagarla.

           Noi non difenderemo mai un sistema che ci vuole
subordinati e addomesticati nella vana attesa di un posto al sole a
1200 euro al mese e una pensione tra 40 anni dimezzata rispetto
all’ultimo stipendio, regalo del passaggio al regime contributivo
pensionistico che ci accomuna alle donne e agli uomini, alle ragazze e
ai ragazzi, tutti gli iscritti alla gestione separata dell’Inps che
hanno iniziato a lavorare dopo il 1996. Vogliamo che l’età
pensionabile dei docenti sia allineata al resto d’Europa. Vadano in
pensione a 65 anni, liberino le risorse per destinarle principalmente
al reclutamento di nuovi docenti di terzo livello, avviando così un
processo di riassorbimento del precariato accumulato.

 Dal 1980 il posto da ricercatore ha goduto della garanzia di
indipendenza del contratto a tempo indeterminato. La riforma Gelmini
lo trasforma in un lavoro precario, con contratti a termine triennali
rinnovabili una volta. La casta dei garantiti si restringerà sempre
più e vi saranno ammessi i soli professori ordinari ed associati.
Intorno a questa cittadella fortificata, prolifereranno le figure
precarie che, spesso a titolo gratuito come i docenti a contratto, non
permetteranno a lungo la sopravvivenza degli atenei in condizioni
sempre peggiori.

In questo clima da «si salvi chi può» fortissimo è il rischio di
arroccarsi nella difesa di egoismi corporativi. I ricercatori
strutturati stanno organizzando ormai da diversi mesi la loro
contestazione al Ddl Gelmini: denunciano prima di tutto la scomparsa
della figura di ricercatore a tempo indeterminato, che li porterà a
competere nei prossimi anni con i precari per i posti che contano.
Alcuni di loro chiedono di diventare «professori associati» per legge,
o almeno con canali preferenziali come i concorsi riservati. Una
mediazione che noi consideriamo corporativa e al ribasso. E infatti il
governo sembra intenzionato a venir loro incontro, riducendo così
ulteriormente le risorse a disposizione dei precari, mentre i rettori
strumentalizzano queste rivendicazioni, pur di mantenere il consenso.
Poco importa se, nelle stesse aule in cui i ricercatori minacciano
scioperi della didattica, la metà dei corsi sono oggi svolti da
precari che lavorano letteralmente in nero o a titolo gratuito.

           Siamo più di 40 mila in tutta Italia e respingiamo il
progetto di ulteriore precarizzazione della ricerca. Non siamo soli e
sappiamo che molti dei ricercatori mobilitati, sia pure con estremo e
grave ritardo contro il Ddl Gelmini, si battono contro un sistema che
è sempre meno finanziato e si regge sul loro e il nostro volontariato.
Saremo accanto a loro quando, dal prossimo ottobre, rifiuteranno di
tenere lezione e bloccheranno i corsi di laurea se nel disegno di
legge Gelmini sull’università non cambieranno le norme che regoleranno
la governance degli atenei, non saranno ritirati i tagli al fondo
ordinario (Ffo) degli atenei e non saranno modificate quelle che
ostacolano la carriera dei ricercatori e aggravano il precariato.

 Ci auguriamo che la lotta dei ricercatori sia altrettanto
determinata di quella che condussero i maître-à-conference in Francia
l’anno scorso. Ad oggi, ci sembra che le mobilitazioni indette a
maggio da tutti i sindacati del personale universitario si stiano
rivelando prima di tutto tardive e, in secondo luogo, inefficaci dal
punto di vista dell’azione politica contro una proposta di legge che
prefigura il definitivo smantellamento dell’Università pubblica,
correndo il rischio di limitarsi – se andrà bene – a preservare
rendite di posizione. Disertarle, tuttavia, servirebbe solo a
convincere Gelmini, Tremonti e Berlusconi che la loro riforma gode di
consenso nell’università anche tra gli studenti e i precari, e nella
parte più sana della docenza. Perciò, è utile che la generazione
cresciuta nella precarietà faccia sentire la sua voce, e porti nelle
piazze contenuti realmente innovativi. Usiamo l’immaginazione, uniamo
le lotte, creiamo alleanze contro la guerra all’intelligenza, iniziamo
una grande marcia per la conoscenza come bene comune.  L’autunno è già
qui e non solo perché questo è il maggio più piovoso degli ultimi
anni.

 Per queste ragioni aderiamo all’assemblea pubblica Lunedì 17 maggio
alle ore 14 nella facoltà di Lettere de La Sapienza e a tutte le forme
di lotta previste dagli studenti e dai precari per il 18 e il 19
maggio in tutta Italia così come a Roma.

Laboratori Precari – Rete di dottorandi e ricercatori precari delle
Università di Roma

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