Questa, rivolta al ministro Gelmini, è stata pubblicata su l’Informatore Agrario 23/2011
Caro Ministro Gelmini,
le scrivo nuovamente dopo la lettera aperta che le indirizzai in novembre scorso e che fu a quel tempo pubblicata (http://www.informatoreagrario.it/lettera-ricercatori).
I timori che le descrissi su come sarebbe cambiata l’Università si sono frattanto avverati. Le scrivo oggi che lascio questo mondo per imboccare una nuova strada e lo faccio perché mi ritrovo ad essere oggi io stessa, paradossalmente, il “prodotto perfetto” di questo nuovo sistema.
Mi sento il “prodotto perfetto” in quanto sono una ricercatrice precaria che trova, sua sponte, una buona collocazione nel settore produttivo privato, cosa da Lei auspicata per quelli tra i 60 mila precari che non potranno essere assorbiti dalle Università (tutti tranne alcune centinaia all’anno, verosimilmente). Salvo poi che sarà una multinazionale a capitale interamente straniero che potrà giovarsi dell’esperienza che ho acquisito in questi anni, perché quelle sono le aziende che apprezzano un dottorato di ricerca nel curriculum di un candidato.
Sono il “prodotto perfetto” perché vado via lasciando progetti di Ricerca sottomessi con richieste di finanziamento per più di mezzo milione di euro, progetti che verranno giudicati dopo la mia partenza. Salvo poi che la gran parte di quei fondi, se anche dovessero essere assegnati proprio a me, andrebbero ora persi perché legati al mio nome. Rendendo fin d’ora matematicamente perso anche il tempo speso da altri ricercatori, ben più esperti e riconosciuti di me, nel redigere insieme progetti a quattro o sei mani.
Vado via lasciando tre articoli scientifici sottomessi a riviste internazionali nei primi cinque mesi del 2011, attualmente in stampa o in corso di revisione. L’Università acquisirà quindi pubblicazioni a mio nome anche dopo la mia partenza. Salvo poi che interrompo così il mio momento di produttività massima a livello scientifico, che chi mi sostituirà (probabilmente un giovane studente di dottorato alla sua prima esperienza) raggiungerà solo tra diversi anni.
Lascio un laboratorio dove è stata consegnata qualche settimana fa una nuova macchina per analisi molecolari di ultima generazione, acquistata su un progetto che proposi e contribuii a scrivere nel 2009 (i tempi di reazione della Ricerca, come Lei sa meglio di me, sono questi). Il gruppo di Ricerca ne usufruirà dunque dopo la mia partenza, anche grazie al trasferimento di conoscenze verso i più giovani che abbiamo organizzato in queste settimane. Salvo poi che chi la prenderà in mano avrà comunque bisogno di tempo ed esperienza prima di sfruttarne al meglio le potenzialità.
Sono il “prodotto perfetto” perché tra qualche mese non sarò più precaria, salvo complicazioni: avrò una posizione lavorativa di responsabilità senza dover lasciare il Paese, mettendo a frutto quanto ho avuto l’opportunità di imparare fin qui. Se restassi in Università si profilerebbero, nella migliore delle ipotesi, altri 12 anni di precariato (ne ho 32 oggi e 7 alle spalle) e poi un inserimento. Ma uno scenario molto più probabile vede soltanto altri 4 anni e poi più nulla: quando la pentola è quasi vuota non si aggiungono nuovi posti a tavola, tantomeno se si vogliono rimpinguare i piatti dei commensali. E naturalmente il mestolo è gestito da chi è già seduto. I ricercatori precari tutta Italia stanno provando ad ottenere almeno delle rappresentanze a quei tavoli, perché le persone che stanno fuori dalla porta sono più numerose di quelle che sono già in sala da pranzo L’instancabile lavoro sta portando risultati, e per questo faccio un grande in bocca al lupo a chi resta.
La mia, caro Ministro, non è che una scelta personale, e come ogni caso singolo il mio non farà la differenza: la ricerca italiana in microbiologia degli alimenti non subirà certo tracolli con la mia partenza. Mi chiedo tuttavia come si possa auspicare che questa sia una scelta di massa e dire agli Italiani che questo sarà il bene dell’Università e della Ricerca.
La formazione culturale che ho acquisito mi suggerisce un parallelo. Questo meccanismo mi sembra molto simile a quello che in biologia si chiama “ciclo futile”: un sistema mal regolato, se sottoposto a stress (il taglio dei finanziamenti), innesca un meccanismo per il quale produce e contemporaneamente consuma ad uguale velocità le stesse molecole (qui persone) dissipando energia soltanto per rimanere in stallo.
Mi chiedo se si sono considerati i potenziali danni collaterali quando si è scelto di disegnare per i precari la strada dei “prodotti perfetti”. Mi chiedo, Le chiedo, dove porterà questo ciclo futile da cui sto uscendo.