Vademecum: entrare in università

Dal blog del CPU.

Nell’ottobre del 2009, durante la conferenza stampa di presentazione della futura legge 240, il ministro Gelmini spiegò che con la sua riforma l’età media di ingresso in ruolo nell’università, che attualmente si aggira attorno ai 36 anni, sarebbe scesa a 30 anni. Chiunque abbia letto veramente gli articoli della legge sa che questi famosi 30 anni, ripetutamente citati da molti giornali copiando e incollando le affermazioni del Ministro, non escono fuori da nessuna parte e anzi non esiste alcun meccanismo che possa in qualche modo accorciare i tempi di ingresso in ruolo. Considerando che è stata definitivamente cancellata la possibilità di essere assunti come ricercatori a tempo indeterminato ed è stata introdotta una presunta “tenure track” per il ruolo di professore associato di durata non inferiore ai 6 anni, è facile calcolare che un neo-dottore di ricerca che abbia completato il suo percorso di studio nel minor tempo possibile, all’età di 27 o 28 anni, non potrà ragionevolmente aspettarsi di entrare in ruolo prima dei 33-34 anni, cioé molto a ridosso della media attuale di 36 anni. In realtà però questa è solo la minima età di ingresso per chi percorrerà tutta la cosiddetta “tenure track” e non può in alcun modo essere indicativa della reale età media futura: basta pensare che nell’università pre-riforma non esistevano percorsi, né vincoli anagrafici, che incidessero sull’età di assunzione, eppure questa aveva spontaneamente raggiunto il citato valore medio di 36 anni. Nel periodo fra il conseguimento del dottorato di ricerca e l’ingresso in ruolo (cosiddetto “periodo pre-ruolo”) il futuro ricercatore o professore sopravviveva con assegni di ricerca, borse di studio, collaborazioni e contratti a tempo determinato. La nuova legge abolisce di fatto borse e collaborazioni (anche se la CRUI sta esercitando fortissime pressioni per reintrodurle), ma continua a prevedere l’esistenza di assegni di ricerca e contratti a tempo determinato, fissando la durata massima di tutte queste forme lavorative in 12 anni. Sommando questo tempo ai 27-28 anni di età minima per il conseguimento del dottorato di ricerca, possiamo facilmente calcolare un’età di ingresso in ruolo, per chi seguirà tutta la trafila, di 39-40 anni. Data la spontanea tendenza del sistema universitario italiano (e non solo di quello universitario) ad utilizzare in maniera esaustiva tutti gli spazi di dilatazione del precariato a sua disposizione, c’è da aspettarsi che proprio questa, di 3-4 anni più alta del valore attuale, sarà la vera età media di ingresso in ruolo nell’università riformata.
Scendendo più nel dettaglio, gli assegni di ricerca potranno durare fino a 4 anni (non considerando gli assegni eventualmente già svolti in base alla normativa precedente) e i contratti a tempo determinato sono stati divisi in due tipologie: un TDa di durata triennale rinnovabile per un ulteriore biennio e un TDb di durata triennale. Il futuro precario dovrà vincere un concorso da ricercatore TDa e, dopo aver completato almeno il primo triennio, potrà partecipare ad un concorso da ricercatore TDb, al termine del quale in caso di valutazione positiva a livello nazionale (tramite il conseguimento dell’abilitazione) e locale potrà finalmente entrare in ruolo come professore associato. Realisticamente, tralasciando il furore ideologico degli estensori e dei sostenitori della riforma, quasi tutti i nuovi associati dovranno percorrere l’intera trafila dal dottorato di ricerca (fino a 27-28 anni), all’assegno di ricerca (fino ai 31-32), ai 3+2 anni di TDa (fino ai 36-37), al TDb (fino ai 39-40). Si uscirà quindi dalla precarietà attorno ai 40 anni, quattro più dell’attuale età media di ingresso, e dopo aver sostenuto non meno di quattro concorsi distinti che difficilmente saranno sincronizzati, per cui quasi tutti fra un contratto e l’altro dovranno affrontare lunghi periodi di disoccupazione che innalzeranno ulteriormente la reale età di conclusione del lungo percorso precario. Un iter bizantino che non ha uguali nel mondo, soprattutto nei paesi ai quali si dice di voler guardare, che spesso affidano la direzione di importanti progetti e gruppi di ricerca a studiosi di quella fascia di età nella quale in Italia sarà necessario barcamenarsi fra un assegno e un TDa e magari procurarsi qualche lavoretto saltuario extra.
E la presunta tenure track? In realtà, solo per i contratti da ricercatore TDb è previsto che fin dall’inizio l’università debba accantonare le risorse economiche necessarie per il passaggio a professore associato, cosa che dovrebbe finalmente porre l’esito finale del percorso nelle mani dell’aspirante professore e delle sue capacità. Fino ai 36-37 anni si vivrà in balia di tagli, dissesti finanziari, manovre di corridoio e manovre economiche…

 

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