Sempre più lontani dal Nord

Luca Schiaffino sul blog nazionale.

Sempre più lontani dal Nord

Nonostante le statistiche internazionali collochino l’Italia nelle ultime posizioni fra i paesi OCSE per quanto riguarda il numero di laureati, l’attuale governo pare aver deciso che in realtà in Italia si studia troppo e che la responsabilità dell’elevato tasso di disoccupazione giovanile è degli stessi disoccupati e non va ricercata nelle fallimentari politiche occupazionali e di sviluppo portate avanti nell’ultimo decennio.

Secondo le fantasiose affermazioni dei vari ministri SacconiMeloniTremontiGelmini (sperando di non averne perso qualcuno), i nostri giovani non riescono a trovare lavoro perché studiano troppo e non sono sufficientemente umili, mentre farebbero bene a dedicarsi a lavori manuali. Tesi ribadite proprio quest’oggi da Giuseppe De Rita (classe 1932, esponente della classe dirigente che ha condotto l’Italia al punto in cui si trova adesso).

Insomma, no all’istruzione, si al lavoro manuale, la colpa della disoccupazione è dei disoccupati, la colpa della precarietà non è della legge 30, ma dei precari che hanno studiato male, stiamo attenti all’eccesso di istruzione che rischiamo rivolte giovanili come quelle del Nord Africa.

E la ricerca? Secondo il presidente della Commissione Cultura del Senato, sen. Guido Possa, l’Italia non può permettersela. Siamo un paese di serie B, non possiamo spendere soldi in ricerca, dobbiamo dedicarci ad altro.

Insomma, il progetto di “sviluppo” del nostro governo è chiaro: si rinunci ad inseguire il Nord Europa sul terreno dell’innovazione e delle produzioni tecnologiche, si rinunci al tentativo di recuperare posizioni nelle classifiche che ci collocano molto dietro ai paesi nordici nelle percentuali di laureati e negli investimenti in formazione e in ricerca, si punti tutto sul basso costo del lavoro. Possibilmente evitando di investire troppo in sicurezza, perché è un lusso che non possiamo permetterci. Insomma, guardiamo all’Europa dell’Est.

Ecco le vere motivazioni della “riforma Gelmini”, dello smantellamento del sistema universitario, dei tagli alla ricerca e al diritto allo studio, dei licenziamenti dei precari dell’università. In un paese che ha deciso di rinunciare ad istruzione e ricerca, meglio chiudere tutto. Con buona pace di quei rettori che da due anni corteggiano il governo nell’illusoria speranza di ottenere il loro piatto di lenticchie.

 

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