Privati dell’Università – articolo da Il Manifesto

Privati dell’Università
fonte: M. Bascetta, Il Manifesto, 18 novembre 2010

Un tempo la chiamavamo la scuola dei padroni, perfino con qualche forzatura. Ma solo oggi (quando la parola padrone è silenziosamente scivolata via dalle pagine dei vocabolari), nelle riforme che incombono sul sistema della formazione in tutta Europa, quell’espressione sembra avere assunto pienamente il suo significato. Cosa ci guadagniamo nell’immediato, si domandano i padroni, dalla scuola pubblica, dall’istruzione di massa, dalla ricerca di base e da una diffusione del sapere che non si riesce a rinchiudere nelle recinzioni dei diritti di proprietà? E quanto ci costa, in termini di spesa pubblica e di pretese sociali? La risposta, dei governi e dei loro ben pasciuti consulenti, liberisti e di sinistra, è nota: tagli, tasse esorbitanti, sbarramenti, metafisica dell’«eccellenza», con finale richiamo all’«umiltà» e a dismettere lussuriosi sogni di mobilità sociale e di crescita personale. Si sa, sono tempi di crisi, e nei tempi di crisi bisogna salvare la macchina del profitto e il suo habitat finanziario, perché solo da lì tutto può ricominciare. Non dalla qualità della vita, non dalla ricchezza del tessuto sociale, non da una proiezione verso il futuro, non dalla critica dei dispositivi che hanno generato il disastro. Macché. Sembra di riascoltare i versi al vetriolo di una vecchia ballata di Brecht: «Vuoi viver della testa? Uomo non esser sciocco! Della tua testa al massimo può vivere un pidocchio». Se vuoi viver della tua testa, dunque, se vuoi accrescere il tuo sapere, avere accesso alla conoscenza, allora trasformala in una macchina per il profitto. Pagherai di tasca tua, ti indebiterai fino al collo, ma sta sicuro che il tuo «capitale umano» sarà difeso con ogni mezzo e nessuno potrà avvalersi delle tue conoscenze senza pagartele in moneta sonante. Diventa un padrone, mettiti dalla nostra parte! Gioca alla borsa del sapere, acquista i titoli giusti, fidati delle banche che te li vendono: le università private e i misteriosi «poli di eccellenza», e del sistema delle imprese che te li ricomprerà. Non temere, rischia!

È questa la riforma, da Londra a Parigi a Roma. Queste le sue promesse, questa la sua ideologia. Questo il suo inganno.
Accade, tuttavia, che in Inghilterra, in Francia, in Italia, un numero crescente di studenti dica di no, lasciando da parte le buone maniere che, del resto, non sono state riservate loro. Cosa stanno facendo, dunque, questi studenti? La risposta è semplice, ancorché esprimibile in un linguaggio che sembra echeggiare da epoche remote e ferire le orecchie delicate della postmoderrnità: fanno la lotta di classe. Anche sforzandomi, non trovo altra parola più á la page per descrivere la lotta degli studenti inglesi contro la triplicazione delle tasse universitarie, quella, stupefacente, dei liceali francesi contro la riforma delle pensioni voluta da Sarkozy, o quella dell’intero mondo della scuola e dell’università in Italia contro i tagli e gli strumenti di ricatto previsti dal disegno di legge della Gelmini. È una posta in gioco decisiva, quella che hanno tra le mani. Qualcosa che può condizionare i rapporti di forza nella società, tracciare i confini dell’inclusione e dell’esclusione, le mappe del privilegio, rinsaldare o minare le gerarchie del comando, contrapporre la ricchezza dei molti a quella dei pochi. E la partita, questa volta, non si gioca sul terreno franante e un po’ tenebroso delle miniere inglesi, dove la «signora di ferro» poté celebrare la sua vittoria, ma sul terreno ancora rigoglioso, per tutti irrinunciabile (a cominciare dai padroni) dell’economia della conoscenza. Laddove lo spirito ribelle e il desiderio di autonomia non possono mai essere del tutto cancellati senza prosciugare con ciò le stesse fonti del profitto.
E dove, anche per i lavoratori dell’ industria e dei servizi, si decide se sarà l’innovazione o lo schiavismo e la rinuncia a condurci fuori dalla crisi. Gli studenti francesi contro l’innalzamento dell’età pensionabile, gli studenti inglesi alla ricerca di una alleanza con i sindacati del pubblico impiego, l’incontro degli studenti e del lavoro precario con la Fiom nella piazza dello scorso 16 ottobre a Roma non sono una generica solidarietà, ma la precisa percezione che, nella evoluzione feroce della crisi le debolezze e la ricattabilità degli uni si rovesciano su quelle degli altri. E che nessuno è incline a mollare. Alle immagini dell’assedio londinese converrà abituarsi poiché, sempre per impiegare parole desuete, questo conflitto non si annuncia come «un pranzo di gala». I giocatori seduti al tavolo della crisi, gli alchimisti delle alleanze e delle formule di governo non sembrano esserne consapevoli.

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