Assemblea dei ricercatori a Roma (rete 29 aprile)

Alleghiamo la scaletta e il comunicato dell’assemblea del 17 settembre dei ricercatori a Roma.

Scaletta Assemblea R29A 17.9.2010

Comunicato Coordinamento R29A 10.9.2010

Leggi un articolo da Il Manifesto del 18 settembre 2010 – Siamo tutti indisponibili.

APERTURA   |   di Roberto Ciccarelli – ROMA
UNIVERSITÀ – Blocco della didattica per fermare la riforma Gelmini
«Siamo tutti indisponibili»
In centinaia da tutta Italia per negare la propria disponibilità allo sfruttamento del lavoro della conoscenza. A Pisa la prima facoltà sospende ad oltranza la didattica Ricercatori e studenti in assemblea alla Sapienza di Roma
L’iter parlamentare della riforma Gelmini dell’università deve essere fermato, i tagli agli stipendi dei ricercatori devono essere ritirati, i fondi all’università alla ricerca e alla scuola devono essere recuperati e aumentati, il blocco del turn over deve essere eliminato per garantire l’assunzione di nuovi docenti, e il diritto allo studio deve essere sostenuto approntando una modifica radicale del welfare italiano. Insieme alla richiesta del rinvio dell’inizio delle lezioni e al riconoscimento dello statuto giuridico dei ricercatori, sono queste le richieste del documento finale approvato ieri dall’assemblea della «Rete 29 aprile» alla Sapienza di Roma.
Erano oltre cinquecento, meno tre astenuti, i ricercatori a tempo indeterminato, quelli precari e gli studenti che hanno stabilito il calendario della mobilitazione autunnale anti-Gelmini: dal 4 al 6 ottobre in tutti gli atenei italiani ci saranno occupazioni, assemblee di facoltà, seminari di informazione sulla contro-riforma Gelmini, lezioni in piazza. Gli universitari parteciperanno allo sciopero e al corteo degli studenti medi dell’8 ottobre. Martedì 12 ottobre, quando alla camera dovrebbe iniziare la discussione sul disegno di legge Gelmini, è stato convocato un corteo nazionale.
Questa è la piattaforma del movimento degli «indisponibili» che nel corso di un’assemblea durata oltre sette ore ha iniziato a riconoscere la propria forza. I suoi effetti stanno lentamente corrodendo le resistenze pluri-decennali dei poteri accademici al punto che non si contano più nel Paese le richieste di rinvio degli anni accademici da parte dei consigli di facoltà. È una valanga che solo ieri ha registrato la prima, vera, vittoria del movimento. Il rettore dell’Alma mater di Bologna, dopo il tentativo iniziale di imporre ai ricercatori il metodo Marchionne, sta valutando il rinvio delle lezione di almeno una settimana. Martedì prossimo è atteso il senato accademico della Sapienza che potrebbe deliberare la stessa decisione, avvalorando una voce che circola da giorni nelle facoltà. La facoltà di scienze di Tor Vergata ha votato una mozione in solidarietà con i ricercatori che sposta le lezioni di due settimane. Nelle stesse ore in cui i ricercatori hanno ritrovato il senso di un’alleanza strategica con gli studenti, è arrivata la notizia che la facoltà di ingegneria di Pisa ha deciso all’unanimità la «sospensione ad oltranza» della programmazione didattica. Una decisione drammatica che dimostra la forza dell’indisponibilità espressa da questo movimento contro la volontà punitiva di un governo deciso a cancellare persino il ricordo dell’esistenza della scuola e dell’università pubblica.
«Indisponibilità» è la parola d’ordine che ha unificato soggetti che solo due anni fa, durante l’Onda, sono stati vittime della reciproca diffidenza. Slogan dalle molteplici declinazioni con grande forza politica. La prima ad avere usato questa espressione è stata Rosi Bindi in risposta ad una volgare, e ricorrente, insinuazione del presidente del consiglio Berlusconi: «Presidente, non sono a sua disposizione». Espressione di netto rifiuto, dunque, e gesto di un corpo che si sottrae ad un desiderio di appropriazione selvaggia come all’idea che la vita di una donna si risolva nello scambio tra il denaro e una prestazione sessuale.
A questa presa di posizione che ha delineato un potente campo semantico di resistenza, i ricercatori hanno aggiunto un altro significato. La loro dichiarazione di indisponibilità alla didattica non obbligatoria può essere interpretata come il rifiuto del sistema che ha governato fino ad oggi le università italiane. Dal 1980, quando la terza figura della docenza è stata istituita contestualmente all’ope legis che assunse 30 mila persone ingolfando fino ad oggi il reclutamento, i ricercatori hanno tenuto in vita le facoltà insegnando ogni anno in due o più corsi.
Quello italiano è un sistema universitario fondato sull’abnegazione di 25 mila assunti a tempo indeterminato e sul sacrificio di almeno il doppio tra contrattisti, assegnisti, borsisti a vario titolo precari. La contraddizione è esplosa quando il ministro Gelmini ha deciso di avallare il vecchio progetto della riforma Moratti che ha messo in esaurimento il ruolo del ricercatore entro il 2013. L’assemblea romana ha sancito l’indisponibilità allo scambio mortale proposto ai ricercatori: continuare a sfruttare la loro abnegazione per garantire l’attività didattica, le nuove immatricolazioni, la posizione nelle classifiche che determinano i fondi destinati annualmente dal ministero dell’università agli atenei. In compenso, il governo garantisce ai ricercatori la loro scomparsa, il passaggio di una minoranza al ruolo di associato. Il resto viene abbandonato su un binario morto in attesa della pensione.
Il documento finale ha raccolto anche un’altra indisponibilità. Quella della generazione nata tra la metà degli anni Settanta e gli inizi degli anni Novanta, trafitta a morte dal lavoro precario o intermittente, che ha finalmente trovato le parole per affermare il rifiuto alle regole di un mercato che promuove i tirocini gratuiti, le borse di dottorato senza reddito, la permanente subordinazione al regime del lavoro cognitivo a cottimo. Da oggi sono tutti indisponibili.

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