Giovani andate all’estero – articolo da L’Espresso

E’ interessante che, invece di trovare soluzioni politiche, si rivolga ai giovani l’invito ad andare all’estero…

"Giovani andate all’estero il 50% del manifatturiero è destinato a sparire" – di A.Carini (Leggi l’articolo

Guidi (Anie): vorrei sbagliarmi, ma i dati dicono questo Boeri: troppa distanza tra salari, il lavoro va riformato. «Ripartire con un passo più veloce altrimenti serviranno 15 anni per tornare ai livelli del 2007». «I nostri costi di produzione sono fuori mercato. Non c’è scampo» (19 novembre 2009)

 

 
PADOVA. L’Italia potrebbe uscire dalla condanna di una bassa crescita se si occupasse dei suoi giovani, della formazione, se facesse, alla fine, una riforma seria del mercato del lavoro che tutelasse redditi e carriere e facesse dell’Italia un «Paese per giovani» anziché «per vecchi», com’è ora. Così dice Tito Boeri economista di punta, mettendo a frutto qualche ottimismo della volontà che contraddistingue questo momento di svolta.
A questo si contrappone, il pessimismo, anche cupo, del presidente dell’Anie (l’associazione che riunisce le industrie elettromeccaniche) ed ex vicepresidente di Confindustria Guidalberto Guidi: «Meglio che i giovani pensino di andare all’estero: nel Far East, in Sudamerica. Qui non ci sarà lavoro per i prossimi anni né per i giovani, né per i vecchi, né per le persone di mezza età. Il 50% del manifatturiero italiano è destinato a scomparire e il 2010 sarà un anno durissimo».
Difronte a un uditorio di accademici e studenti dell’Università di Padova si confrontano, nelle giornate dell’economia, due visioni del mondo diverse. Il discorso parte sempre da questa maledetta crisi, dai motivi che l’hanno generata e dalle soluzioni per uscirne. Boeri, che è tutt’altro che un economista da ottimismo di facciata- o di regime che dir si voglia, vede nel filo della crescente disegueglianza del reddito, tra i troppo poveri e i troppo ricchi, uno dei motivi intorno ai quali si è arrotolata la crisi: troppa distanza nei salari, nella formazione a fronte di un mercato che premia i lavoratori più istruiti e lascia al loro destino gli altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In Italia questo filo, sostiene, potrebbe essere dipanato a partire da una riforma del mercato del lavoro che togliesse dal rischio povertà alcune fasce che dovrebbero essere quelle di punta nel far ripartire il Paese: giovani, sempre sotto la spada di Damocle del precariato, donne e molti di coloro che compongono la vasta platea del lavoro non tutelato e della formazione buttata al vento. «Un contratto unico per tutti i lavoratori con tutele gradualmente crescenti, un salario minimo e una riforma degli ammortizzatori, con un sussidio unico di disoccupazione per non limitare le tutele a chi il lavoro ce l’ha già» è questa, secondo Boeri, la ricetta «per lo più a costo zero» per ridurre le disuguaglianze e far ripartire, con passo più spedito di prima l’economia italiana. «Se non riusciamo ad andare più veloci di prima – dice – ci vorranno 15 anni per tornare ad avere i livelli del 2007». 

Ma Guidi non dà speranze per i prossimi anni se non nel fatto prendere la valigia (ed anche la famiglia, perché le vie di mezzo non ci sono più) ed andare a lavorare all’estero. «Vorrei sbagliarmi – dice – ma i dati che ho sottomano dicono questo». Ed enumera le cifre di una crisi dura, dalla quale, dice, usciremo molto diversi. «Sono a capo dell’Anie, cioè l’associazione con il più alto tasso di ricerca dell’industria italiana. Da ottobre a luglio il fatturato delle aziende e sceso dal 35 al 60%. In estate c’è stata qualche ripresa, alla fine chiuderemo con cali tra il 25 e il 30%». Non si può resistere, «non è una crisi, ma una mutazione genetica». Molte aziende sono destinate a sparire. «Perderemo tra il 50% e il 60% del sistema manifatturiero e del resto è logico: i nostri costi di produzione sono fuori mercato in un mondo globalizzato». 

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