Riceviamo e pubblichiamo due interessanti articoli da Il Manifesto (21 novembre) sull’assemblea di Roma del 20 novembre.
1) Alla Sapienza studenti e ricercatori precari da tutta Italia – Ricerca e Welfare, arriva la nuova Onda
2) Con i tagli «formazione già ridotta». L’esercito di precari su cui campano gli atenei
L’ASSEMBLEA Alla Sapienza studenti e ricercatori precari da tutta Italia «Ricerca e welfare» Arriva la nuova Onda
In 500 a Roma per gettare le basi di una opposizione al ddl Gelmini e rivendicare un nuovo stato sociale. Primo
appuntamento in piazza: lo sciopero dell’11 dicembre.
Ancora ieri mattina, in un lungo monologo a Uno mattina, il ministro dell’istruzione e dell’università Mariastella Gelmini ha sostenuto che l’opposizione al suo disegno di legge sull’università, come alla sua politica di tagli sulla scuola, sarebbe gestita «dai centri sociali più che
dai giovani». Una reazione ricorrente in un governo che pensa di tenere in mano l’osso dell’innovazione, del merito e della modernità, ridicolizzando ogni tutte le opposizioni come foglie morte che cadono in autunno.
L’assemblea nazionale dell’Onda convocata ieri alla Sapienza di Roma dalla rete romana dei ricercatori precari
insieme alla Flc-Cgil ha rovesciato questo schema retorico dilagante nel governo Berlusconi. L’atto più significativo
che le cinquecento e passa persone giunte da tutta Italia hanno compiuto è di svelare il trucco dietro la bulimia
normativa e burocratica che ispira la proposta di riforma dell’università. «L’attacco all’Università al quale stiamo
assistendo – si legge nel documento finale adottato dall’assemblea – è parte di un’aggressione più generale,
tanto più anacronistica proprio perché cade nel pieno del fallimento delle politiche di smantellamento dello stato
sociale condotte negli ultimi decenni». Più che liberalismo riformatore, l’Onda vede nel Ddl Gelmini un
dirigismo ispirato all’asset della Seconda Repubblica: la bulimia normativa con la quale la classe politica ha
cercato di cambiare i connotati al lavoro e alla conoscenza in nome del decisionismo amministrativo e
dell’ideologia della governance.
Non è mancata la presa di distanza dal metodo opposto, ma gemello, scelto dai riformatori di centro-sinistra negli
anni Novanta per gestire l’università: l’aziendalizzazione, cioè l’idea che l’offerta formativa
dovesse essere ritagliata sulle esigenze di un ciclo produttivo che non sembra essere interessato
all’innovazione e alla ricerca, ma alle esigenze dell’industria di piccolo taglio, e a basso contenuto
tecnologico. «Il Ddl – prosegue il documento – non interviene sulla governance degli atenei per innovarla, ma
per chiudere gli spazi di democrazia e partecipazione delle differenti componenti accademiche e consolidare e
rafforzare il potere delle corporazioni responsabili del fallimento dell’università pubblica».
Oggi siamo alla fine di un ciclo. La stessa idea di proseguire lungo il canale sicuro dell’ideologia
bipartisan che ha gestito il ventennio delle riforme fallite è ancora una volta un’illusione spacciata per
modernità. «Servirebbe, invece, un piano straordinario di reclutamento, con un numero consistente di concorsi che
diano opportunità reali a chi garantisce il funzionamento quotidiano della didattica e della ricerca nei nostri
atenei».
L’Onda conferma in questo modo le intuizioni che l’anno scorso avevano fatto intravedere nelle sue manifestazioni
oceaniche una discontinuità rispetto alla politica disperante e senza soluzioni che armeggia con le vite
degli altri, più che preoccuparsi della propria agonia.
Per la prossima primavera quando il Ddl Gelmini andrà in discussione alle Camere, il movimento fa appello a tutte
le forze sociali, sindacali e politiche per organizzare una «grande marcia per la nuova questione sociale» in
Italia. Una campagna politica che inizierà il prossimo 11 dicembre con l’adesione allo sciopero generale della conoscenza
indetto dalla Cgil e dai sindacati di base attraverso la quale il movimento promuoverà una nuova narrazione sulla
necessità di tutele giuridiche e politiche per il lavoro precario, all’insegna di una generale riforma delle
politiche sociali che da molte parti si inizia a chiamare "nuovo welfare". Diritto alla mobilità, alla casa,
continuità di reddito, insomma l’inizio di una nuova speranza per due generazioni di precari (8 milioni
sostiene un recente rapporto Istat-Ires Cgil) ormai escluse dalla cittadinanza attiva. Una campagna alla quale
ha aderito la Flc che in un comunicato sostiene che «dalla crisi si esce investendo sulla conoscenza, valorizzando il
lavoro e costruendo il welfare universale».
Nessun intervento nell’assemblea ha nascosto le difficoltà, e l’ambizione, di questo progetto. Questo
primo scorcio di autunno è stato caratterizzato da un silenzio mediatico interrotto da qualche implicito
riconoscimento alla volontà riformatrice del governo. I reiterati appelli di Gelmini, l’ultimo ieri pomeriggio, «a
migliorare il Ddl in parlamento», potrebbero convincere i più indecisi.
Ciò che però persuade in questa nuova fase dell’Onda è la qualità ponderata della proposta politica. Quella
prospettata non è un’alleanza tra il precariato della formazione e le vittime della crisi globale. È un’idea
politica: non si può affrontare la crisi rimandando gli investimenti ad un fantomatico futuro, si esce dalla crisi
investendo in ricerca e in sviluppo. Un altro mondo distante da quello dei tagli e del pauperismo con il quale
si vorrebbe ancora una volta correggere i vizi e le astuzie della società italiana, quando invece la crisi
attuale ne ha rivelato i limiti e i paradossi.
Questa battaglia per un nuovo welfare, che annuncia l’assedio dei palazzi della politica quando maturerà la
discussione sul Ddl, non è la richiesta di assistenzialismo, né di un workfare adeguato al familismo
amorale italiano. È una presa di posizione generazionale contro i padri che hanno fatto la prima Repubblica e i
parenti che affogano nella crisi della seconda.
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LE VOCI – Con i tagli «formazione già ridotta». L’esercito di precari su cui campano gli atenei (di Sara Farolfi)
Corsi ridotti, docenti a contratto tagliati e post dottorati eliminati: «La situazione è drammatica e Gelmini
non c’entra ancora nulla», dice Federico, docente a contratto da ben 9 anni a Bologna. Prima di Gelmini viene
Tremonti, e anche nell’ateneo di Bologna, come in tutto lo stivale, i tagli della legge 133 iniziano a
materializzarsi. Su questo impatterà il ddl Gelmini, ventiquattro paginette in cui per ben diciassette volte si
ribadisce che non dovrà esserci «nessun onere aggiuntivo per il bilancio dello stato».
Anche a Bologna sperano di riuscire ad aprire un tavolo con il nuovo rettore. Al Politecnico di Torino – dove una
circolare di fine settembre ha messo nero su bianco il taglio del 40% dell’offerta formativa – ci sono riusciti.
Il 15 ottobre, ricercatori precari, studenti e personale tecnico e amministrativo hanno bloccato il senato
accademico. Il 16 ottobre, un comunicato congiunto di rettore, ricercatori precari e Flc Cgil ha dato avvio a un
tavolo di confronto sui «ricercatori non strutturati del Politecnico». Una conquista, racconta Valentina, «anche se
il difficile arriva adesso».
Mobilitazioni e proteste hanno preso corpo, nelle ultime settimane, in diversi atenei. A Catania hanno protestato i
precari delle commissioni di laurea, ed è stato annunciato il blocco degli esami: «La didattica dentro l’università
non è una seconda scelta, ma una professione». Le università invece campano sulle spalle di circa «40 mila
persone che, a titolo più o meno gratuito, tengono in piedi la didattica», osserva Andrea Capocci introducendo
l’assemblea alla Sapienza. Un po’ all’ingrosso: 40 mila docenti a contratto, 15-20 mila gli assegnisti, più le
migliaia di borsisti, e tutte quelle forme contrattuali fuori controllo. Tra tagli, blocco del turn over, e
«razionalizzazioni», gli atenei rischiano il collasso.
«Perchè facciamo fatica a considerarci lavoratori, perchè non riusciamo ad avere piena consapevolezza dei nostri
diritti?», domanda Ilaria, precaria dell’università di Firenze, «eppure noi tutti siamo persone licenziate più
volte nel giro di un anno…».
Sia chiaro: nessuna delle 500 persone circa (per la metà ricercatori precari) ieri presenti era lì per difendere lo
status quo. «Nessuno vuole difendere questa università, ma noi ce la immaginiamo in un altro modo», dice Claudio
Franchi (Flc Cgil). «Ma se l’università fa schifo, lo schifo lo hanno fatto loro», sbotta Enrico, ricercatore
precario a Cosenza, «ora dobbiamo rifare tutto noi».
Gelmini e Moratti, non a caso negli interventi i nomi si confondono, «la lotta va avanti da anni». In ballo c’è
tutto il ciclo della formazione, a partire dalla scuola.
Lo ricorda Francesco, del coordinamento precari della scuola di Roma (per un mese in presidio sotto la sede del
ministero) che richiama alla necessità di «un percorso di movimento» che per lo sciopero dell’11 dicembre porti «ad
assediare il ministero», capace poi di andare oltre e arrivare, l’autunno prossimo, al blocco della didattica,
se necessario.
Diritto allo studio, merito, precarietà, trasparenza: l’assemblea decostruisce la semantica dominante. È falso
che il ddl Gelmini metta fine alle logiche baronali: «I bandi e le chiamate locali restano eccome», dice
Francesca, ricercatrice e coordinatrice Flc di Bologna. Il diritto allo studio si materializzerà nel «prestito
d’onore», cioè ci si dovrà indebitare, in tempi in cui il modello americano consiglierebbe se non altro più cautela.
Si potranno trascorrere fino a dieci anni da precario, senza alcuna garanzia sul futuro. Infine, l’ingresso dei
privati nei cda delle università. Non una novità, ricorda Davide di Padova: «Nel ricco nord est le aziende già si
relazionano in maniera parassitaria all’università…e l’introduzione di stage e tirocini obbligatori, dice quale
sia l’obiettivo». Da domani però i privati entreranno nei cda di ateneo. Quali privati? «A Napoli ci sono i
Casalesi». Contro l’individualismo dei rapporti, studenti e ricercatori precari rivendicano collettività e
cooperazione. Tutti sottolineano: non può esserci qualità senza risorse, nè può esserci merito senza welfare. Su queste parole l’Onda tornerà a farsi sentire.