Una lettura della legge

Comunicato Responsabile Università e Ricerca PRC sulla Riforma Gelmini

Nel Consiglio dei Ministri del 28 ottobre è stato varato il Ddl in materia di organizzazione e qualità del sistema universitario, di personale accademico e di diritto allo studio. Un testo complesso che pretenderebbe di rivoluzionare il sistema universitario italiano a costo zero, anzi,
attraverso la mannaia dei tagli che paralizzano le attività degli atenei nel nome di una improbabile "razionalizzazione" delle risorse. Alla fine
si afferma esplicitamente che "dall’attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica".

 

Già questo dimostra come l’intero documento, esaltato da tutte le gerarchie accademiche e dai giornali
/embedded/, rappresenta in realtà una madornale bufala.
Sul piano del sistema di governo degli atenei si propone un modello centralistico, gerarchico e a tratti autoritario. Viene ridimensionato
il ruolo degli organi elettivi e quasi tutto il potere viene concentrato nelle mani dei rettori e di un CdA, ridotto nel numero di
componenti, per il 40% composto da personalità provenienti dal mondo imprenditoriale. Un goffo tentativo di perseguire la vocazione
aziendalistica della Ministra senza neanche riuscire a cogliere l’obiettivo. Paradossalmente preferiremmo parlare di aziendalizzazione
del sistema universitario, perché almeno avremmo un nemico all’altezza dei nostri sforzi. Ma il sistema aziendale all’Italiana non si avvicina neanche lontanamente al modello anglosassone (tra l’altro fallito) che vorrebbe emulare. Il capitalismo italiano è tradizionalmente
parassitario, succhia risorse allo Stato ma non si è mai sognato di investire seriamente in ricerca e sviluppo. Si finisce col consegnare il potere di definire gli indirizzi scientifici e le linee di sviluppo degli atenei a un personale incolto che sfrutterà tale posizione di privilegio per
perseguire interessi privati senza alcun disegno stategico.
La già fragile corda che sostiene la spada di Damocle sui crani dei ricercatori precari viene definitivamente spezzata. Si completa infatti
il disegno della Moratti e viene messo ad esaurimento il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato. Verranno sostituiti da contratti
precari di durata triennale e rinnovabili una sola volta, poi o si vince un concorso da professore associato o si va a casa dopo sei anni della propria vita regalata a un’istituzione che ti premia con l’espulsione. Eppure un sistema serio di /tenure track /che apra la strada
dell’ingresso in ruolo nella seconda fascia di docenza sarebbe anche ipotizzabile se ci fosse la volontà politica di investire risorse sui nuovi reclutamenti, ma questo non sembra rientrare nei disegni del governo Berlusconi. I concorsi universitari sono bloccati da anni e i tagli criminali alle università impedirà loro di bandire nuovi posti ancora per molto tempo.

Quasi nulle saranno le opportunità di accesso per i giovani ricercatori, sempre più precari e sempre più ricattabili, e nessuna risposta seria si dà alle decine di migliaia di ricercatori precari di lunga data che da anni vengono sfruttati da un sistema universitario che contribuiscono
materialmente e tenere in piedi e che non potranno neanche accedere alla nuova tipologia contrattuale.
Gli studenti vengono umiliati. Mentre noi lottiamo per le rappresentanze paritetiche e una valorizzazione delle esperienze di autorganizzazione, la Gelmini li integra senza alcun potere decisionale nei nuovi organi di governo rendendoli così complici di questo sfacelo. Il diritto allo studio diventa un miraggio, viene introdotto il meccanismo dei prestiti d’onore, cioè una forma legalizzata di indebitamento delle giovani
generazioni, e viene istituito un fantomatico fondo per il merito gestito (guarda caso) dal Ministero del tesoro e, ricordiamolo,
organizzato "senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica" una porta aperta al progetto nefasto di abolizione del valore legale del titolo di studio.
Se vogliamo valorizzare il merito, dobbiamo gridare il nostro no secco alla loro meritocrazia che premia i figli delle classi padronali,
costringendo alla subalternità le nuove classi proletarizzate, costrette secondo questo sistema a frequentare corsi di laurea dequalificati e costosi (i tagli costringono i Rettori ad aumentare le tasse).
Rifondazione Comunista non starà a guardare. Mette da subito le proprie strutture al servizio del movimento unitario che dallo scorso anno lotta per una università pubblica, di massa e di qualità. Lavoreremo alla costituzione di reti unitarie di studenti e lavoratori della conoscenza. Nessuno sconto verrà fatto al Governo e alle gerarchie baronali che esso tutela.

Fabio de Nardis

/Responsabile Nazionale Università e Ricerca PRC-Se/ 

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