Canada’s Self-Imposed Crisis in Post-Secondary Education

Da Academic Matters: “This year the federal government will collect $48 billion less than it would have if taxation rates remained at the same level as in 2000. One-quarter of that $48 billion figure can be attributed to the two-percentage-point cut in the Goods and Services Tax, brought in by the Harper government. A lot can be done with $48 billion. To take just one example, with just 10% of that figure, tuition fees could be eliminated for all students currently enrolled in Canadian universities.” L’intero articolo qui.

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L’ossessione del lavoro manuale

L’ossessione del lavoro manuale, articolo di Francesca Coin: “…Maggiore “sinergia tra l’università e le imprese”, dunque? Certo, ma al ribasso: minore lavoro, minori tutele e minore istruzione per tutti. Forse la Fornero ha ragione a cantare le lodi del lavoro manuale. Spiace solo che sia l’unica prospettiva concreta che è stata in grado di offrire.” Si legge qui.

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Voci dal dibattito sul valore della produzione di conoscenza in accademia

Di fronte alla crisi economica e ai tagli ai finanziamenti a università e ricerca diverse voci si levano per giustificare razionalmente e politicamente le ragioni per cui finanziare lo sviluppo di conoscenza (pubblica) è importante. Ne riportiamo alcune recenti, segnalate da destrutturati vari: un gruppo di scienziati politici statunitensi rivendica la necessità di fondi perché gli studi che fanno sono importanti (funzionali) alla comprensione delle dinamiche politiche internazionali; un gruppo di studiosi europei firma invece un documento che spiega come lo sviluppo economico sia legato alla ricerca pura – perché da lì nascono le maggiori e più profittevoli innovazioni; infine, la sociologa Brigitte Nerlich, smonta gli argomenti precedenti riconducendoli alla stessa grammatica giustificativa, cioè ad una logica strumentale mentre, sostiene, il finanziamento alla ricerca si auto-giustifica nello sviluppo di un pensiero critico.

 

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Lavoro accademico e stress occupazionale

Molte ricerche, sostiene un recente articolo del Guardia, evidenziano come la categoria di chi lavora in accademia sia quella più stressata rispetto a tutte le altre categorie, a causa della struttura organizzativa, dell’insicurezza, delle difficoltà nella gestione delle relazioni eccetera, eccetera, eccetera. Ora, quello che ci viene detto, da qualunque parte, è che dobbiamo essere capaci di gestire lo stress, che dovremmo rivendicare un training per la gestione emotiva dello stress (per esempio, leggere qui). Insomma, l’inquadramento della questione è che l’instabilità lavorativa (geografica, di prospettiva, di guadagno…) e il conseguente stress del lavoro accademico (in qui tale instabilità è inquadrata in una struttura organizzativa fortemente gerarchica, priva di regole chiare e quindi soggetta all’arbitrio dei ‘superiori’ – che formalmente sono dei pari….[sic!]) è una responsabilità individuale che va gestita sul piano emotivo.

Ovviamente, siamo convinti che si tratti di una questione collettiva, politica, e non solo accademica. E siamo un po’ stufi di questa retorica, che pure va combattuta ogni giorno.

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Finanziamento alla ricerca – reti internazionali

University World News racconta dell’organizzazione del Global Research Council: “Last month [May 2012] 47 leaders of research funding agencies from 44 countries met at the headquarters of the National Science Foundation in Arlington, US, for a two-day summit of the newly minted Global Research Council. The goal was to devise ways to reduce differences in scientific collaboration across borders and to establish stricter guidelines for supporting research based on merit – all in the context of shrinking funds for academic research.” – leggi il resto dell’articolo qui.

Anche nello spazio Europeo il finanziamento alla ricerca è – ovviamente – tema di dibattiti: “EUA president Prof. Maria Helena Nazaré calls upon European governments to live up to their promise of “securing the highest possible level of public funding for higher education”. Bologna has been a success, but much more has to be done on mobility and study success, Nazaré argues.” – l’intero articolo su Science Guide.

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UK students escape the fees nightmare and head for Europe

Un articolo dal Guardian che tratta del crescente numero di studenti inglesi che, per via dell’aumento delle tasse universitarie, si spostano nel resto d’Europa per completare gli studi universitari. L’articolo si legge qui.

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Criteri per l’abilitazione

Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari. Il testo del regolamento si trova a questo link.

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Il triste destino dei precari della ricerca nell’università italiana

Cosa succederà agli attuali precari della ricerca? Ecco le stime numeriche in un articolo pubblicato su ROARS. Le cifre e i dati sono impressionanti. Speriamo che servano, invece di cadere, come sempre, nel vuoto… “Se in un’azienda, pubblica o privata,  una frazione consistente del personale perde il lavoro, il governo interviene per scongiurare una “sofferenza sociale”, anche se molto spesso in maniera non efficace. Nell’università, però, stiamo assistendo al fenomeno contrario: è proprio il governo a causare il processo d’espulsione, che si profila come una vera e propria “emergenza” sociale e che in più disperde il patrimonio di professionalità che giace nelle figure a più alta formazione che abbiamo nel nostro paese.”

 

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Dei concorsi…

D’Orsi parla dei concorsi nelle università italiane e del progetto l’Università che vogliamo, in un articolo uscito su Il Manifesto – e che si legge qui. “…Se tutti facessero lo stesso, invece di tacere in attesa delle proprie rivincite, ossia di commettere loro domani, a danno di qualcuno, le ingiustizie di cui oggi sono vittime i propri allievi o comunque “protetti”, forse si accelererebbe il processo di modifica di questi demenziali meccanismi di reclutamento, che per loro natura favoriscono arbìtri, e producono iniquità, provocando l’ovvio, progressivo scadimento del livello scientifico e dello stessa funzione culturale e civile dell’Università italiana.
Davanti a fatti come quelli qui accennati, non ci possiamo limitare ai discorsi, magari a mezza voce. Occorre squarciare il velo omertoso che avvolge il sistema e che rischia di divenirne il sudario.
No. Non è questa l’Università che vogliamo.”

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Di concorsi…

Da L’Espresso/MicroMega: “…È il caso clamoroso dell’Università di Milano, in cui un Rettore, in carica nonostante il pensionamento e la scadenza del suo mandato tre anni fa, approva per tre volte gli atti di un concorso prima annullato e poi sospeso dal TAR a causa del mancato rispetto della legge. E in cui la vincitrice del concorso rimane in servizio per due anni nonostante le decisioni del Tribunale.”
Leggi il resto dell’articolo a questo link.

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