Articolo da La Voce.info.
LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ PARTE DALLA GOVERNANCE
di Lorenzo Marrucci 26.10.2010
L’approvazione del disegno di legge Gelmini sull’università è stata rinviata alla fine dell’anno, in attesa che governo e parlamento trovino le risorse necessarie. Una battuta d’arresto che può essere utile per introdurre nel disegno di legge quegli elementi che lo renderebbero una vera riforma. Perché così come è adesso non interviene sulla questione centrale dell’autoreferenzialità dei nostri atenei. Nuove norme sulla governance interna degli atenei sono il presupposto indispensabile per l’affermarsi della meritocrazia e per contrastare il potere dei baroni.
L’approvazione del disegno di legge Gelmini sull’università è stata rinviata alla fine dell’anno, nell’attesa che il governo e il parlamento trovino le risorse necessarie. Per certi versi la battuta d’arresto è preoccupante, in quanto l’instabilità politica del momento potrebbe mettere a rischio il varo stesso della riforma, ed è indiscutibile che l’università italiana abbia urgente bisogno di essere riformata. D’altra parte, il Ddl Gelmini nel suo testo attuale è in realtà lungi dall’essere la “riforma epocale” di cui parla il ministro. Pur muovendosi nella direzione giusta, infatti, compie passi piccolissimi laddove altri paesi in questi anni hanno fatto o stanno facendo cambiamenti ben più significativi. Mi riferisco qui in primo luogo alla riforma della “governance interna” degli atenei.
CHI ELEGGE IL RETTORE
La revisione dell’assetto di governance interna è una riforma indispensabile per far funzionare le università in regime di autonomia. E l’autonomia, a sua volta, è uno strumento indispensabile per governare un sistema complesso e diversificato come è diventata l’università di massa dei paesi avanzati. Non è un caso, infatti, che importanti riforme della governance di ateneo siano state realizzate negli ultimi vent’anni circa da Gran Bretagna (1992), Svezia (1997), Olanda (1997), Austria (2002), Danimarca (2003), Svizzera (2003), Giappone (2004), Germania (2003-2009) e Finlandia (2010). (1) Con il disegno di legge Gelmini potremo aggiungere anche l’Italia a questa lista di paesi riformatori? La risposta purtroppo è negativa. Infatti, la riforma Gelmini non contiene i dueelementi chiave che invece caratterizzano le riforme di tutti i paesi elencati sopra: (i) l’introduzione di una maggioranza, o almeno parità, di membri esterni nell’organo collegiale di governo dell’ateneo – board o consiglio d’amministrazione; (2) (ii) la definizione di un “vertice esecutivo” dell’ateneo, cioè il rettore o il suo equivalente, che sia nominato dall’organo di governo (in qualche caso congiuntamente con il senato accademico o con ratifica ministeriale) anziché eletto dai docenti e che assuma un carattere manageriale, anziché di rappresentanza politico-accademica. Il sistema di governance non può essere ovviamente ridotto a questi soli due elementi, ma essi ne fissano i cardini fondamentali.
Altri paesi (Stati Uniti, Canada, Australia) hanno da tempo sistemi universitari che funzionano con questi criteri e anzi, hanno fatto da modello per molte delle riforme introdotte altrove. Oggi, fra tutti i paesi sviluppati di una certa grandezza, l’elezione “a suffragio universale” del rettore sopravvive solo in Italia, Spagna e Grecia.
Particolarmente rilevante è la riforma recentemente introdotta dalla Germania, un paese che per noi costituisce sempre un punto di riferimento. In Germania la legislazione universitaria è di competenza dei Länder, per cui le riforme sono state attuate in anni diversi, compresi fra il 2003 e il 2009. Oggi la transizione è sostanzialmente completa. (3) Seguendo il modello di governance duale tipico delle aziende del paese, le università tedesche hanno oggi un “consiglio di supervisione” in cui i membri esterni sono quasi sempre in maggioranza (in qualche caso sono la totalità, in qualche altro sono la metà esatta del totale) e un “consiglio di gestione” composto dal rettore, tre-quattro vice-rettori e un direttore amministrativo, che insieme definiscono il “top management” dell’ateneo. Rettore e vice-rettori sono nominati dal consiglio di supervisione, in alcuni casi con il contributo del senato accademico, a seguito di una selezione operata da un search committee.
PERCHÉ È IMPORTANTE
Ma siamo davvero certi che queste riforme della governance siano necessarie, che non si tratti solo di una sorta di “moda internazionale”? Per provare a dare una risposta oggettiva a questa domanda, ho costruito un grafico (vedi figura) in cui riporto un indice di performance del sistema universitario di ciascun paese in funzione del grado di modernità della governance universitaria. (4) Le aree dei cerchi sono proporzionali al Pil dei paesi, in modo da rendere più evidente il posizionamento dei più grandi e sviluppati. La correlazione tra modernità della governance e performance delle università è molto evidente. Un risultato sostanzialmente analogo si ottiene utilizzando altri ranking. Certo la riforma della governance è spesso correlata con altre riforme fondamentali (autonomia, valutazione, finanziamenti incentivanti) che contribuiscono a influenzare le performance del sistema, ma è difficile sostenere che si tratti solo di una moda.
D’altra parte, questa correlazione non è certo sorprendente. L’uso del termine un po’ tecnico di “governance” forse non chiarisce efficacemente l’importanza della questione: stiamo parlando qui della definizione dei processi decisionali interni agli atenei, ossia, con parole ancora più semplici, di stabilire chi “comanda” negli atenei e quali siano le sue vere motivazioni e incentivi. Nel discutere di governance stiamo di fatto parlando di come creare le condizioni per l’affermarsi di una vera meritocrazia negli atenei, per contrastare davvero il potere dei “baroni”, per dare i giusti spazi ai giovani meritevoli, per garantire che gli studenti siano trattati sempre con correttezza, per ringiovanire la docenza, e così via.
Purtroppo, il disegno di legge Gelmini non intacca in modo serio la questione centrale dell’autoreferenzialitàdei nostri atenei, ossia del conflitto d’interessi che si verifica quando chi governa l’istituzione è anche colui che risente, in positivo o in negativo, di gran parte delle decisioni prese. Per far ripartire davvero la nostra università ci vuole una riforma molto più incisiva, una riforma che abbia le caratteristiche di quella realizzata in Germania o in gran parte degli altri paesi elencati sopra.
Grazie al rinvio, il parlamento ha forse un’ultima opportunità di modificare il progetto di legge per renderlo veramente efficace, degno delle riforme degli altri paesi. Sarà in grado di coglierla?
(1) Una riforma un po’ meno incisiva è stata approvata anche dalla Francia nel 2007.
(2) Per l’importante questione delle modalità di nomina di questi membri esterni, si vedano ad esempio i miei precedenti articoli su lavoce.info “Lezioni dall’estero” e “La Corte costituzionale, un modello per l’università”.
(3) Una descrizione dettagliata delle riforme tedesche.
(4)L’indice di performance è definito a partire dal ranking Times Higher Education 2010 e rapportato al Pil del paese, in modo da correggere per le sue dimensioni e ricchezza. Il grado di modernità della governance universitaria è definito con i due criteri menzionati sopra e tenendo anche conto degli anni trascorsi dall’implementazione della riforma, come specificato in dettaglio nel documento tecnico allegato. (per vederlo vai sul sito de La Voce)