Alcune riflessioni sul futuro

Articolo di Allegri su il manifesto – che fare?
È arrivato il tempo della condivisione
di Peppe Allegri, il manifesto 17 maggio 2011, p. 11

Il movimento dell’Onda, poi gli studenti nell’autunno scorso e i freelance che hanno riempito il Macro di Roma mercoledì 11 maggio per la presentazione del manifesto dei lavoratori autonomi di seconda generazione dell’Associazione Consulenti del Terziario Avanzato (Acta), hanno espresso il desiderio di condividere un nuovo abbecedario intorno al lavoro, agli strumenti di autotutela e garanzia, insieme con le degne aspirazioni a un’autonomia esistenziale, altrimenti sacrificata sull’altare dell’insicurezza e della subordinazione.
Soprattutto torna di attualità l’urgenza di ribaltare la condizione di sfavore nella «contrattazione» tra «prestatore d’opera» e comando del capitale, dinanzi a un continuo processo di spietato impoverimento delle condizioni di esistenza delle «cittadinanze laboriose». Nel lungo ventennio che vorremmo lasciarci alle spalle il nostro Paese ha conosciuto un’esponenziale frammentazione contrattuale del lavoro, in assenza di qualsiasi dignitosa possibilità di scelta. E paradigmatico è il peso sopportato dalle donne nel mercato del lavoro, aggravato dalla tradizionale impostazione familista del nostro sistema di Welfare. Nello stesso ventennio è stata scatenata una scientifica e bipartisan guerra alle intelligenze indipendenti, letteralmente disprezzando il lavoro della conoscenza, proprio mentre capitale e società dello spettacolo mettevano al lavoro le qualità relazionali, cognitive, comunicative. Il triennio di crisi globale ha ulteriormente svalorizzato la «concreta immaterialità» dei lavori creativi e relazionali, per poi abbattersi sui lavori tradizionali, che apparivano più garantiti.
Dinanzi a questo scenario di vero e proprio saccheggio del «lavoro culturale» appare del tutto inutile, quando non strategicamente pericoloso, rinserrare le fila del corporativismo: che sia quello autoreferenziale e bizantino dell’Accademia, piuttosto che quello professionale dell’immaginario «imprenditore di sé stesso». È un errore che si dovrà evitare a tutti i costi: da una parte imponendo al movimento universitario dei ricercatori di recuperare le aperture che aveva timidamente manifestato nello scorso autunno; dall’altro eliminando qualsiasi spinta alla creazione di nuovi ordini professionali per i lavoratori autonomi di seconda e terza generazione. Sarebbe l’eterno ritorno dell’identico italico, mortifero rinchiudersi nelle maleodoranti congreghe, che ora neanche riescono più a garantire quel briciolo di sicurezza precedentemente barattato con l’obbedienza e l’asservimento.
È questo il momento di creare spazi in cui sperimentare quella coalizione degli autonomi lavoratori indipendenti «dei saperi», dove condividere una nuova cassetta degli attrezzi concettuali e pragmatici per ribaltare la subordinazione, tanto al comando del lavoro quanto alle retoriche efficientiste, tecnocratiche, produttiviste. Sarà un’alleanza necessariamente affollata e autorganizzata; ci si riconoscerà nella comune insoddisfazione rispetto agli immaginari esistenti: quelli del lungo trentennio tardo-liberista, così come quelli di una malinconica sinistra politico-sindacale. È la scommessa di cambiare lo stato esistente delle cose a partire da sé stessi, con la sapienza di individuare i nemici e rintracciare i possibili alleati, senza sconti per nessuno.

 

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