INCHIESTA ITALIANA – da repubblica on line.
Quei netturbini con la laurea pagati mille euro al mese
Metà dei neo dottori trova solo lavori non qualificati Il 29 per cento dei lavoratori dei call center aziendali ha almeno un diploma triennale, molti anche il master. Secondo una ricerca di Almalaurea l’11% dei ragazzi considera del tutto inutile il titolo accademico conseguito. di ROSARIA AMATO e ANTONIO FRASCHILLA
ROMA – Andrea Cammuca è laureato in Economia. Il giorno della laurea sua madre ha pianto per la felicità. La famiglia, d’altronde, ha investito su di lui facendo non pochi sacrifici, visto che oggi in Italia portare un figlio alla laurea costa in media 16 mila euro, che diventano 50 mila se studia fuori città. Adesso Andrea però ha un lavoro a tempo indeterminato: netturbino nella società di raccolta dei rifiuti a Palermo, stipendio da 1.100 euro al mese e turni che vanno dalle dieci di sera alle quattro del mattino. Anche Alessandra Petrucci è operatrice ecologica, all’Ama di Roma, con una laurea in sociologia e un master: quando ha cominciato a lavorare, il nonno le ha chiesto sbalordito, per giorni e giorni, “Ma come, non ti hanno dato ancora una scrivania, stai sempre per strada?”. E invece in nove anni non è cambiato niente. La loro, purtroppo, non è una storia isolata o un caso particolare. In Italia ogni anno 32 mila neolaureati nella migliore delle ipotesi entro i cinque anni dal conseguimento del titolo troveranno un lavoro sottopagato e che nulla ha a che fare con quanto studiato. Dopo i cinque anni? Non cambia nulla, spesso si rimane sempre allo stesso punto: lavori sottopagati senza alcuna prospettiva di carriera, e addio ai sogni di un futuro migliore costruito sui libri. E così da Torino a Palermo, da Milano e Roma, proliferano sociologi che fanno i metronotte, economisti che fanno i netturbini, archeologi ridotti a impiegarsi come custodi o laureati in Lettere e filosofia che fanno i guardia sala nei musei. I dati degli istituti di ricerca sono impietosi. Secondo l’indagine Istat “sull’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro” nel secondo trimestre 2009 circa 2,2 milioni di giovani fino a 34 anni laureati o diplomati (corrispondenti al 47,1 per cento del totale) possiede un titolo di studio superiore a quello richiesto per svolgere la propria professione.
Almalaurea stima all’11 per cento il numero dei laureati che a cinque anni dal conseguimento del titolo giudica inutile quanto studiato rispetto al lavoro trovato. Ecco la radiografia di un Paese che va indietro, inesorabilmente, e davanti a sé lascia solo frustrazione: “Perché primo o poi la rabbia dei laureati che fanno i custodi nei musei o gli addetti alle biglietterie, a esempio, scoppierà insieme a quella dello loro famiglie che hanno investito tanti soldi per dare ai figli un futuro migliore”, dice Andrea Brignoli, della Filcams Cgil. Ma che lavori sono costretti a fare oggi i neolaureati? Quali sono le lauree che danno meno garanzie? E, soprattutto, quanti sono i laureati sottoinquadrati oggi in Italia?
CUSTODI, BIGLIETTAI E GUARDIE GIURATE
Emiliano Ceccarelli, 36 anni, fa la guardia giurata a Roma. Si è laureato in Sociologia nel 2004, indirizzo economico e del lavoro: “Quando ho cominciato l’università, pensavo che mi sarebbe piaciuto occuparmi di relazioni industriali, gestione delle risorse umane. Pensavo che attraverso la laurea avrei potuto ambire a qualsiasi lavoro. Avevo questa visione ideale, che l’università preparasse la futura classe dirigente del Paese”. Dopo la laurea però Emiliano non ha trovato il lavoro che desiderava, e ha cominciato a fare il mediatore creditizio, come libero professionista. È andata bene per un certo periodo, poi però è arrivata la crisi: “Il mercato è cambiato, mi sono trovato in difficoltà, soffrivo di ansia, e allora ho preferito fare questo lavoro, la guardia giurata, che mi dà la possibilità di godere di un contratto a tempo indeterminato”. Per guadagnare circa mille euro, Emiliano fa molti straordinari: lavora dalle 7 alle 19, 12 ore. Quando è stanco, chiede al datore di lavoro di esonerarlo, e si limita alle 8 ore di turno. Amareggiato? In fondo al cuore sì: “Questo non è un Paese fondato sui sogni”, conclude. Di sogni ne ha coltivati tanti anche Roberta Reali, brillante laureata in Lettere indirizzo classico, con tesi in storia dell’arte: “La mia passione è stata sempre l’arte, ho scritto cataloghi di decorazione e di pittura, ho un blog, e faccio studi anche per l’Accademia delle belle arti di Rovigo, ma tutto questo non mi fa guadagnare un centesimo di euro”, racconta Roberta, che dopo aver frequentato un dottorato a Parigi, alla fine è tornata a Venezia: “Non ho trovato mai lavoro, così per mantenermi da quattro anni attraverso una cooperativa faccio la bigliettaia e la custode per la Fondazione Biennale – dice – Guadagno 900 euro al mese e non ho alcuna possibilità di fare carriera. Perché formalmente non ho rapporti diretti con la Biennale, e la cooperativa presta questi servizi e non ha altre mansioni in pianta organica”.
Come lei anche Luisa Berti, laureata in Storia dell’arte, le ha provate tutte: concorsi per vigili urbani e per entrare al Casinò di Venezia compresi: “Ma alla fine lavoro ormai da anni come guarda sala a Palazzo Ducale – dice – 10 ore e mezza di turni al giorno e una paga mensile di poco più di mille euro al mese. Mi guardo attorno e vedo tanti colleghi laureati che fanno il mio stesso lavoro. Rispetto a chi sta a casa e non guadagna nulla, mi sento fortunata”. E “fortunati” si sentono anche gli 8 laureati in Archeologia assunti alla fine dello scorso anno dalla Soprintendenza all’Antichità di Torino. Qualifica? “Custode” di quattordici siti, da Almese a Caselette a Vaie. “Mi sento privilegiata ad avere un posto di lavoro”, dice Simona Contardi, archeologa con tanto di dottorato. La Soprintendente Egle Micheletto ha proposto, per questi custodi sui generis, l’impiego anche in attività di comunicazione e rapporti con il pubblico. Apriti cielo, i sindacati sono insorti perché “questo è un trattamento privilegiato che va riconosciuto a tutti gli operatori”. La storia di Stefania, laureata in Lingue e letterature straniere a Bologna, racconta però come al fondo non ci sia mai fine: “Dopo la laurea ho trovato lavoro in aeroporto per 700 euro al mese iniziali, lavorando con turni massacranti, avendo giorni di riposo quando capitava – racconta – Poi per sfruttare la mia laurea ho deciso di offrirmi come traduttrice. Ma non ho trovato nulla che mi facesse guadagnare almeno i soldi per pagarmi gli alimenti. Ora lavoro in nero come cassiera in una pizzeria da asporto, tutte le sere per due ore, a 5 euro l’ora. Mando però curricula tutti i giorni e vedo che per lavori per i quali mi chiamavano appena laureata, ora non mi considerano più”.
I NETTURBINI LAUREATI IN INGEGNERIA
Una storia a sé, che colpisce, è quella di chi ha una laurea anche in materie considerate ostiche, come l’economia o l’ingegneria, e si ritrova ad accettare un posto da netturbino di notte. Andrea Cammuca, 30 anni, palermitano, però ha sempre il sorriso sulle labbra: “Ho studiato e mi sono laureato in Economia del turismo – dice – Ho accettato il lavoro all’Amia (l’azienda dei rifiuti di Palermo, ndr), lo stesso che ha fatto mio padre, solo per avere un posto fisso. Certo, è dura andare su un autocompattatore di notte, tutte le notti, e tornare alle quattro di mattina. Ma è un lavoro finalmente stabile, che mi permette di mettere qualcosa da parte, la mia laurea è una cosa che fa parte di me e magari in futuro potrò sfruttarla”. A Palermo sono tanti i laureati netturbini. C’è perfino un ingegnere elettronico, Francesco, che per spiegare come sia finito a fare questo lavoro dopo anni di studi difficilissimi, non usa giri di parole: “Non volevo più pesare sulle spalle di mio padre”. Gli operatori ecologici laureati abbondano anche all’Ama di Roma: Alessio Piccirillo, oltre alla laurea e al master, parla anche quattro lingue, ma non gli servono a trovare un lavoro migliore, e forse ormai non gli interessa più: “Le prime volte che mi sono ritrovato al centro di Roma, con una scopa in mano, ero imbarazzato. Mi è anche capitato che qualche conoscente mi evitasse. Però in fondo mi reputo fortunato: posso contare su uno stipendio fisso, è importante soprattutto adesso che mi sono sposato. Se c’è qualcuno che ne fa una questione di rispettabilità, che si vergogna, sono problemi suoi”.
È abbastanza rassegnata anche la sua collega Alessandra Petrucci, all’Ama da 9 anni, si è impiegata poco dopo aver conseguito la laurea in sociologia: “Quando ho accettato questo lavoro mia madre non mi ha parlato una settimana. Ma di tutti i laureati che conosco, e ne conosco tantissimi, solo due o tre fanno un lavoro corrispondente al titolo di studio. Certo, io e mia sorella eravamo le prime laureate della famiglia, i miei avevano costruito tanti sogni sul nostro futuro. A mia sorella non è andata meglio: fa panini al McDonald’s. Però non so se cambierei lavoro: qui ho la tredicesima, la quattordicesima, le ferie e le malattie pagate. Ammiro chi ha il coraggio di mollare tutto per inseguire i suoi sogni, io non credo che lo farei”.
L’EFFICACIA DELLA LAUREA
“Il sottoinquadramento è un fenomeno legato alla mancanza di stabilità di lavoro, e quindi è aumentato negli ultimi anni, ed è destinato ad aumentare ancora”, osserva Alessandro Buonfigli, segretario della Fit-Cisl del Lazio. In altre parole, i laureati giovani e soprattutto non più tanto giovani, dopo anni di precariato alla ricerca del lavoro al quale aspirano, a un certo punto si arrendono, e preferiscono uno stipendio sicuro, anche se si tratta di un lavoro non corrispondente al loro titolo di studio. Il 29 per cento dei lavoratori dei call center, secondo l’ultima indagine della Slc Cgil, ha una laurea. Dall’ultimo rapporto di Almalaurea emerge che, a un anno dal termine degli studi, 78 laureati su cento dichiarano che la laurea quinquennale è “abbastanza efficace”, 3 punti in meno rispetto all’analoga indagine di un anno fa, 6 punti in meno rispetto alla rilevazione 2008. Se si considerano tutte le lauree, anche quelle triennali, l’indice di efficacia si riduce: si va dall’86,4 per cento dei laureati in medicina al 61,4 per cento dei laureati in scienza della formazione fino al 27,2 per cento di lettere e filosofia e al 26,9 per cento di psicologia. Va male anche per una facoltà un tempo molto gettonata come giurisprudenza (36,9 per cento) ma anche per una laurea apparentemente molto ricercata anche adesso, economia (36,8 per cento). In media, l’11 per cento dei laureati, dopo quattro anni dal conseguimento del titolo, giudica “per nulla efficace” la propria laurea rispetto al lavoro trovato. Conti alla mano, su un mondo universitario che ogni anno sforna oltre 290 mila laureati, ben 32 mila di fatto metteranno la pergamena nel cassetto e non la utilizzeranno più.
Le aziende sono sempre meno interessate ad assumere lavoratori di qualificazione medio-alta: “L’Italia è un Paese più manifatturiero che terziario – osserva il direttore generale del Censis Giuseppe Roma – e i servizi terziari, dove di solito si assumono i laureati, sono la parte meno avanzata del sistema”. E infatti nel terziario (dati Censis) sono state le professioni non qualificate a registrare negli ultimi cinque anni la crescita più significativa (+17,9 per cento tra il 2004 e il 2009). Di contro, “le posizioni di vertice della piramide professionale-dirigenti hanno visto incrementare in misura molto meno significativa, quando non diminuire, la propria base occupazionale”.
Peccato però che a fronte di questo mercato del lavoro impazzito e dalla porta d’ingresso sempre più bassa e secondaria, le famiglie italiane investano fior di euro per far laureare i propri figli, Nella speranza che facciano un salto di qualità. Ma quanto costa oggi laurearsi? E quanto spendono le famiglie per i fuorisede? Secondo un’indagine di Federconsumatori sugli atenei statali italiani, le tasse in media si aggirano intorno ai 1.747 euro all’anno, che diventano 8.735 euro per la laurea quinquennale. A questa cifra occorre aggiungere libri, trasporti urbani, cancelleria ed eventuali spese per stage fuori sede: per queste spese, rileva l’Istat nell’ultima indagine sui “costi sostenuti dalle famiglie per l’istruzione universitaria”, si arriva a 7.580 euro nei cinque anni. Totale, 16.315 euro. Se lo studente è fuori sede, il totale dei costi sale a oltre 46 mila euro, sempre che lo studente si laurei entro i cinque anni. Cifre importanti, insomma, a fronte di un investimento dai risultati incerti, se l’obiettivo è quello di trovare un lavoro adeguato al titolo di studio e quindi con uno stipendio dignitoso: in Italia, sempre più un miraggio.
(08 aprile 2011)