9 Aprile “Io sono non strutturato”

Molecole on line raccoglie le ragioni di chi si mobilita il 9 aprile.
Frammenti che si coalizzano: Il Coordinamento dei Precari della Ricerca e della Docenza e il motivo per cui il 9 aprile ci saranno anche loro (di Luca Schiaffino)

Io sono non strutturato

Il 9 aprile i lavoratori precari italiani scenderanno insieme in piazza per dire basta al lavoro precario, privo di diritti, invisibile e sottopagato, quando non addirittura gratuito. Gli ultimi due anni ci hanno mostrato a cosa serve la “flessibilità” in salsa italiana, che regala alle aziende a allo Stato lavoro a basso costo e senza impegni, utile per assicurarsi la libertà di licenziare i propri dipendenti al primo accenno di crisi e scaricare le difficoltà sui soggetti più deboli e sulle nuove generazioni. Il tasso di disoccupazione giovanile, che la crisi economica ha elevato al 29%, racconta in maniera illuminante cos’è e a cosa e a chi serve davvero la precarietà.

Energie sprecate ed espulse dall’Universita’ Il mondo dell’università ha subito nell’ultimo quindicennio le stesse dinamiche di istituzionalizzazione del lavoro precario che hanno investito l’intera società italiana. Per questa ragione, nel momento in cui il ministro Tremonti ha deciso di cogliere l’occasione della correzione dei conti pubblici per smantellare il sistema dell’istruzione pubblica superiore in Italia, i primi e i soli a pagare sulla propria pelle i tagli forsennati imposti alle università sono stati proprio i lavoratori precari. Da tre anni a questa parte i blocchi delle assuzioni hanno ristretto drammaticamente le possibilità di trovare uno sbocco stabile ai percorsi lavorativi precari e parallelamente le difficoltà di bilancio e il definanziamento dei progetti di ricerca hanno impedito il rinnovo di migliaia di contratti, producendo di fatto il licenziamento, senza alcuna forma di ammortizzatore sociale, di migliaia di studiosi preparati che quotidiamente, attraverso il proprio lavoro e la propria dedizione, hanno tenuto in piedi la ricerca scientifica e consentito lo svolgimento dell’attività didattica nelle università italiane. Tutte queste persone finiscono per precipitare nella disoccupazione, per lavorare in settori lontani dalle competenze acquisite o per emigrare all’estero. In tutti i casi, l’Italia subisce un’irreparabile dispersione di esperienze e capacità sulle quali ha già investito tempo e risorse e, anziché recuperare posizioni nelle graduatorie internazionali che la vedono al terzultimo posto nell’OCSE per quanto riguarda il numero di addetti alla ricerca rispetto al totale della popolazione attiva (avanti solo a Messico e Turchia), precipita sempre più in basso, condannando le generazioni nuove e future a vivere in un paese sempre più in declino.

Nasce il Coordinamento dei Precari della ricerca e della docenza Nel contesto appena descritto, lo scorso 8 ottobre, nel corso di una partecipata assemblea nazionale a Bologna, è nato il Coordinamento dei Precari della ricerca e della docenza – Università (CPU), che ha dato uno sbocco unitario all’impegno di tanti gruppi e coordinamenti locali. In questi mesi di vita il Coordinamento ha innanzitutto dotato i precari dell’università di una propria soggettività, offrendo un minimo di visibilità sia nel mondo universitario che sui media e consentendo di inserire le questioni del precariato in un dibattito, quello sull’università, che precedentemente le aveva sempre ignorate. Importanti sono stati anche il ruolo di raccordo fra le iniziative locali e l’attività di informazione, resa possibile dall’esistenza di un network organizzato a livello nazionale. Molti problemi della frammentazione dei rapporti lavorativi sono infatti legati alla mancata conoscenza da parte del lavoratore dei propri diritti e doveri, delle disposizioni normative, delle situazioni che possono cambiare ed impattare sulle condizioni personali. Anche solo l’esistenza di un blog e l’attività sui social network possono punti di riferimento e svolgere una funzione importante in una realtà in cui le posizioni contrattuali individuali cambiano frequentemente ad intervalli di pochi mesi o anni. E, in direzione opposta, la possibilità di raccogliere informazioni nei territori consente di entrare a conoscenza di novità e cambiamenti in tempo pressoché reale. In questo modo è possibile svolgere un’attività di denuncia (come accaduto recentemente con le docenze a contratto gratuite o retribuite a 1 euro), che ha condotto a qualche successo, promuovere iniziative parlamentari come una recente interrogazione sul blocco degli assegni di ricerca, che ha costretto il Ministero a fornire utili chiarimenti. Purtroppo la distribuzione capillare sul territorio è un obiettivo quasi impossibile da raggiungere per un coordinamento spontaneo, per cui in diverse realtà non ci sono coordinamenti locali organizzati e risulta difficile non solo agire, ma anche sapere cosa sta accadendo. In questo i mezzi telematici possono aiutare, quanto meno sul piano dell’informazione e della circolazione di idee. Da anni esiste una mailing list nazionale dei precari universitari, non solo del CPU, che tiene in contatto realtà diverse e fra contatti sui social network e accessi al blog è possibile essere raggiunti da chiunque, almeno potenzialmente.

L’impegno nella battaglia contro la “riforma” Gelmini Sul piano della mobilitazione, nei primi mesi di vita il CPU ha affrontato la dura battaglia contro la “riforma” Gelmini, partecipando al movimento d’autunno assieme a studenti e ricercatori, per difendere l’istruzione pubblica e la libertà di ricerca e di insegnamento, ma anche per contrastare l’ulteriore precarizzazione del lavoro nelle università. Con la cancellazione della figura del ricercatore a tempo indeterminato e la sua sostituzione con una serie di contratti precari della durata complessiva di 12 anni cui va aggiunto il triennio di dottorato di ricerca, la “riforma” disegna un percorso di accesso al ruolo di professore che si concluderà attorno ai 40 anni, costringendo tutti coloro che vorranno tentare la carriera universitaria a pesanti sacrifici sul piano familiare e personale. Un percorso oltretutto fortemente rischioso dal momento che il nostro sistema produttivo, a differenza di quelli di altri paesi, investe pochissimo nella ricerca privata e non offre significative opportunità di lavoro ai ricercatori. Senza considerare poi i continui tagli che, come stiamo vedendo in questi anni, si traducono nell’immediata cancellazione dei rapporti di lavoro precari, interrompendo le carriere indipendentemente dai meriti o dai demeriti personali. Restando sui precari attuali, già attivi da molti anni, è evidente come l’imposizione di punto in bianco di un nuovo percorso così lungo imporrà attese estenuanti, fino ai 45-50 anni di età, sempre ammesso che la paralisi nella quale è precipitato il sistema universitario in queste prime settimane di “riforma” non finisca per espellere tutti in tempi molto rapidi. Stiamo infatti vivendo una situazione di emergenza totale: le forme contrattuali esistenti prima della “riforma” sono state abrogate o dichiarate incompatibili con lo svolgimento di attività diricerca e contemporaeamente le nuove non possono partire a causa dello stato di paralisi, con il risultato che si assiste al licenziamento di diverse migliaia di persone al mese. In piazza, il 9 Aprile Per tutte queste ragioni il CPU si è immediatamente riconosciuto nelle motivazioni della giornata del 9 aprile e si sente accomunato da un destino comune ai precari delle altre reti e organizzazioni che hanno promosso l’iniziativa. Il destino di una generazione costretta a confrontarsi quotidianamente con l’incertezza, l’assenza di diritti, l’assoggettamento all’arbitrio di decisioni prese dall’alto e che improvvisamente sconvolgono vite e cancellano anni di dedizione e sacrifici. E’ ora di dire basta a tutto questo e solo unendo gli sforzi finora frammentati possiamo riuscire a costruire un paese davvero diverso.

 

 

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