L’Istruzione nello spazio (europeo) – da ANVUR Cronaca (21/3/2011)
Un anno fa, il 12 marzo 2010, nasceva ufficialmente lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore (acronimo inglese: EHEA, European Higher Education Area). Si tratta dell’esito di quella serie di accordi e di attività di coordinamento politico iniziate alle fine del secolo scorso, a partire dalla Dichiarazione di Bologna (1999), anticipata dall’incontro della Sorbona dell’anno precedente. Lungo un decennio di riforme – volontarie, ma concordate – dei propri sistemi di istruzione terziaria, 46 Paesi Europei (aderenti alla Convenzione Culturale del Consiglio d’Europa) hanno in qualche modo “armonizzato” le proprie architetture nazionali, in materia di struttura dei cicli di studio, misura dei risultati formativi, riconoscimento dei titoli, valutazione della qualità. Delle vicende relative al Processo di Biologna abbiamo già avuto occasione di parlare nel nostro blog,tratteggiandone la storia in varie fasi e in particolare con riguardo alla costruzione della “dimensione Europea” della garanzia di qualità dei processi formativi.
Ma il Processo di Bologna è quell’impresa politico-culturale che si è ripromessa di dare senso al concetto di “Europa delle Università”, o, più correttamente, dell’Istruzione Superiore, che alla fine del secolo scorso appariva matura e necessaria per restare al passo con le ambizioni del nostro continente. E’ quindi un’avventura più ampia delle vicende relative ad ogni singolo capitolo, e alle sue realizzazioni in ogni Paese. Per questo la cooperazione politica sta continuando nella stessa forma anche dopo il 2010, per assicurare che nel decennio 2010-2020 possano arrivare a compimento le riforme cominciate e tuttavia ancora non pienamente compiute.
In Italia sembra che le polemiche abbiano preso il sopravvento sull’analisi politica, se è vero che la stampa riecheggia più le critiche “ideologiche” che l’informazione corretta. Si parla di “3+2” e di “proliferazione dei corsi” come di “causa” del degrado dell’offerta formativa. A costoro poco importa sapere come funzionano, ed hanno sempre funzionato, i sistemi formativi nel resto del mondo. Nulla sanno di cosa significhi “diversificazione orizzontale”, risposta alla “massificazione dell’istruzione superiore”, esigenze sociali, o del sistema produttivo.
Qualche bello spirito accademico ci fece sopra un libello dal titolo “Una Ikea di Università”, per lamentarsi, nei fatti, che meno studenti andassero a seguire le proprie lezioni, cosi’ auguste, ma si cimentassero con la Scienza della Comunicazione, o con saperi più vari, molto probabilmente con l’idea che la disoccupazione non dovesse essere il solo destino ad attenderli. E infatti in tutto il mondo la diversificazione dell’offerta formativa è un pilastro delle politiche dell’istruzione, a tutti i livelli. C’è chi mantiene un doppio canale (cioè una più accademico e uno più tecnico-professionale) e una corrispondente pluralità di istituzioni formative, per poter venire incontro a questa ampiezza di esigenze, e alla stessa diversità del corpo studentesco. Una discussione mai iniziata, in Italia, a somma vergogna dei nostri responsabili politici.
Poche parole, invece, sono state spese sulla mancanza di un sistema di valutazione “puntuale” della qualità dell’offerta formativa secondo canoni comunemente accettati in tutto il mondo. La mera statistica dovrebbe (secondo costoro, gli “opinionisti”) rimpiazzare il giudizio professionale sulle modalità e delle caratteristiche con cui i corsi di laurea sono impostati e gestiti. Non è cosi’, ovviamente. Dappertutto i sistemi di valutazione e assicurazione della qualità rimangono lo strumento principe con cui sono incardinati i corsi di studio nell’offerta ammissibile. Il ritardo dell’Italia è ormai incolmabile, ma almeno ci si risparmino le tonnellate di carte di ipocrisia, per favore.