Europa rimandata in Scienze – da PressEurope.eu
Finora gli sforzi dell’Unione per promuovere la ricerca non hanno dato i risultati sperati. Nonostante l’austerity, i paesi europei dovranno continuare a investire per non perdere competitività a livello mondiale.
di Sebastián Tobarra – Ricardo Martínez de Rituerto
L’Europa rischia di perdere il treno del progresso scientifico. L’Unione avanza troppo lentamente nel campo della scienza, non riesce a guadagnare terreno sulla leadership di Stati Uniti e Giappone e resta a guardare mentre la Cina riduce rapidamente il suo ritardo. Gli obiettivi del fallimentare processo di Lisbona sono stati posticipati addirittura di un decennio, dal 2010 al 2020. In un contesto simile cresce il timore che i tagli ai bilanci finiscano col rallentare l’attività di ricerca, ancora troppo legata agli investimenti statali.
La Commissione europea conferma questo scenario con la pubblicazione della classifica dell’innovazione nei paesi europei. I dati riflettono l’insufficienza dello sforzo economico: i ventisette investono ancora soltanto il 2,01 per cento del pil in ricerca e sviluppo, mentre l’obiettivo è quello di arrivare al 3 per cento.
I rettori delle università europee più coinvolte nella ricerca hanno lanciato un appello a potenziare gli investimenti pubblici per non perdere competitività. Ventidue rettori di istituzioni come Oxford, Cambridge, Lovanio e l’Università di Barcellona chiedono ai leader dell’Unione europea di “essere coscienti dell’importanza per la competitività dell’Europa di un investimento adeguato e a lungo termine nella ricerca di base”.
L’obiettivo del 3 per cento, fissato nel 2000 al vertice di Lisbona per la fine del primo decennio del nuovo secolo, non è stato raggiunto. Tra i vari paesi si registrano comunque sensibili differenze. Secondo i dati Eurostat e Ocse, Germania, Francia, Svezia e Danimarca superano ampiamente la media europea.
In Europa gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo hanno un peso maggiore rispetto ad altri poli economici. Di conseguenza, in questo campo le politiche dei governi rivestono un ruolo di primo piano. Nei paesi dell’Unione europea il 45 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo sono pubblici. Lo stesso non accade negli Stati Uniti, dove la percentuale si ferma al 33 per cento, e nemmeno in Corea del Sud o Giappone, dove non arriva al 30 per cento.
Le università europee difendono il loro ruolo nel campo della ricerca, in particolar modo quella di base. “La società è globale e quindi anche i finanziamenti lo sono. È necessario generare conoscenza attraverso gli investimenti nella ricerca”, sostiene Jordi Alberch, vicedirettore della ricerca dell’Università di Barcellona. “Per esempio, la ricerca di base genera conoscenza su come funzionano i materiali, gli organismi e le cellule, e può dar luogo a brevetti che hanno un ruolo importante nelle università europee”, sottolinea Alberch.
Indietro nei brevetti
Secondo i dati Eurostat il Giappone supera l’intera Ue per numero di brevetti registrati all’ufficio europeo, raggiungendo i 161 per milione di abitanti mentre l’Unione europea si ferma a 116, nonostante paesi come Germania e Danimarca registrino cifre superiori a quelli del Giappone. “Per un paese il numero di brevetti registrati è importante, ma un brevetto non significa necessariamente sfruttare una nuova conoscenza”, ricorda Julan Mulet, direttore generale della Fondazione per l’innovazione tecnologica (Cotec), che comprende 80 aziende spagnole attive nel campo delle tecnologie.
Che legame c’è tra l’investimento, i brevetti e la crescita economica? Secondo Luis Sanz, direttore dell’Istituto di politica e beni pubblici del Consiglio superiore di ricerca scientifica, “in generale c’è una correlazione tra gli investimenti in ricerca e sviluppo, specialmente quelli privati, e i brevetti”. I brevetti sono “un criterio per misurare il potenziale innovatore di un paese”. L’obiettivo di Máire Geoghegan-Quinn, commissario per la ricerca e l’innovazione, è che il 3 per cento del pil da dedicare alla scienza sia costituito da un 1 per cento di investimenti pubblici e da un 2 per cento di finanziamenti privati.
In Europa alcuni paesi con una consolidata tradizione scientifica come gli stati nordici, la Germania e il Regno Unito mantengono una posizione dominante. Sulla scena internazionale gli Stati Uniti fanno valere la loro superiorità sull’Europa, mentre la Cina comincia a farsi minacciosa. La Commissione sostiene che la competitività nella ricerca è l’unica via d’uscita che l’Europa ha a disposizione per raggiungere una crescita in grado generare posti di lavoro di qualità e indipendenti dalle oscillazioni della globalizzazione.
Svanito il sogno dell’Agenda di Lisbona di trasformare l’Ue in leader mondiale nell’economia della conoscenza entro il 2010, la Commissione e i ventisette hanno creato ora una nuova etichetta: l’Unione dell’innovazione, un’integrazione della cosiddetta Strategia 2020 nata per generare un’economia intelligente, sostenibile e comprensiva. L’approccio dell’Unione dell’innovazione verte su argomenti che dovrebbero interessare i cittadini europei, come il riscaldamento, l’efficienza energetica e la salute. (traduzione di Andrea Sparacino)