Noi ricercatori siamo l’Università – di Alessandro Ferretti (Il Manifesto, FuoriPagina; 30 novembre)
Nel paese delle iperboli ridicole si dice che i ricercatori sui tetti sono manipolati dai baroni, ma su quei tetti non abbiamo visto alcun barone. Dicono che dal lancio delle uova si passerebbe alle mitragliatrici, come dalle sigarette si passa agli spinelli e dagli spinelli all’eroina. Queste sciocchezze sono un luogo comune quasi impossibile da sradicare.
Da fisico sono però abituato a verificare i fatti per quello che sono e non per quello che potrebbero essere. Perché gli studenti italiani occupano i monumenti? Perché gli studenti inglesi occupano la sede del partito conservatore in segno di protesta contro i tagli all’istruzione e la triplicazione delle tasse universitarie? Entrambi insorgono contro il modello dell’aristocrazia e della baronia culturale fondato sul numero chiuso, sull’estrema selettività, sulle tasse elevatissime. Oggi iniziamo a raccogliere i frutti di un malcontento sociale diffuso. Di tutto questo pochissimi hanno messo a fuoco l’essenziale. Difficile del resto farlo in un paese in cui chi controlla i media, e chi vi ha accesso, non ha la minima idea di quali siano le prospettive di vita e di futuro di uno studente. Giovani brillantissimi e dalle capacità eccezionali hanno come unica opzione quella di lavorare come iperprecari. La riforma Gelmini punta ad abolire ogni speranza mettendo formazione e ricerca nelle mani di coloro che stanno attivamente contribuendo a mantenere, o addirittura ad aggravare, questo stato di cose, inserendo le logiche del profitto al posto dei valori umani di consapevolezza, solidarietà e responsabilità.
Molto si è detto sul taglio del 90% dei fondi per il diritto allo studio. Questo significa che il prossimo anno oltre 100mila studenti non potranno terminare gli studi, magari dopo aver fatto già anni di esami e sacrifici. Senza considerare che gli studenti più sensibili e consapevoli vedono anche altro: gli yacht da 40 metri per cui un pieno di gasolio costa qualche decina di migliaia di euro, le discoteche in cui una bottiglia di champagne costa 500 euro, l’ostentazione del lusso e dello spreco, la corruzione ed evasione fiscale impunite e anzi condonate, l’aumento dei fondi pubblici per le scuole private mentre si tagliano 8,5 miliardi alla scuola e 1,3 miliardi all’università, la privatizzazione di servizi essenziali come trasporti, elettricità, addirittura l’acqua. Il disegno di legge Gelmini che oggi sarà votato alla Camera è solo la miccia che ha fatto esplodere una situazione intollerabile, fondata sulla conservazione di un sistema che giova solo a chi ha già tutto.
Noi ricercatori ci domandiamo quanto sia violento un sistema che non permette ai cittadini di conoscere la realtà in cui vivono, spingendo i più sensibili e consapevoli a disobbedire alle leggi pur di poter sperare di invertire il corso delle cose.
Invece di allontanarci da queste persone abbiamo un altro dovere: non farle sentire sole. Con loro vogliamo interrogarci, capire, dialogare. Se invece cadremo nel facile gioco della stigmatizzazione, allora sì che quelli che oggi scalano i monumenti e i tetti rimarranno soli. E di questo crimine saremo tutti responsabili.
Noi ricercatori e studenti che si oppongono alla riforma le nostre energie le vogliamo impiegare spiegando perché rinunciamo ad una didattica che quasi tutti amiamo fare; perché ci dobbiamo arrampicare sui tetti d’inverno; perché dobbiamo bloccare strade, stazioni ed aeroporti per avere una minima chance di mostrare che esiste un problema alto come un grattacielo che riguarda la possibilità di sopravvivenza della stessa idea di società. Forse perché tutto ciò serve ad evidenziare quanto sia marcio un sistema che si interroga su se stesso solo quando qualcuno arriva ad interrompere l’orchestrina che suona mentre il Titanic affonda