Da L’Unità (vai all’articolo)
«Adesso basta, bloccheremo la vita quotidiana negli Atenei» – Intervista a Claudio Franchi
di Maristella Iervasi (15 novembre 2009)
Non ne posso più di belle parole e di promesse. Ero ad un passo dall’assunzione. Ora il fondo per i ricercatori è a rischio: è sparito dalla Finanziaria. Ed io e gli altri 40mila colleghi siamo stufi di essere dei casi umani». Claudio Franchi, 40 anni, sposato con due figli piccoli è un precario di Napoli. Insegna all’Orientale Filologia romanza. Dieci anni di didattica al pari di un prof ordinario per guadagnare 2 mila euro l’anno. «Ho un lavoro sì – sottolinea il ricercatore precario – ma non ho lo stipendio». E al presidente Napolitano che ieri ha ricevuto la laurea honoris causa proprio all’Orientale, replica: «Dopo vent’anni di studio, ricerca e didattica, le parole del Capo dello Stato non ci bastano. Anzi, ci indignano».
Lei sarebbe rientrato tra i ricercatori neo assunti grazie al fondo istituito con il reclutamento straordinario voluto dall’ex ministro Fabio Mussi? «Speravo di rientrare in questo ultimo vagone. E invece il Senato ci ha chiuso le porte in faccia. Ma noi cercheremo di prenderle a calci». Come scusi? «Faccio parte del Coordinamento nazionale precari di Napoli, dopo quest’ennesima doccia fredda non staremo di certo a guardare. Venerdì prossimo alla Sapienza ci sarà una assemblea nazionale di tutti gli atenei, aperta agli studenti e ai ricercatori. Ci riprenderemo la parola e rilanceremo il movimento in tutt’Italia». L’Onda riparte più agguerita dell’autunno scorso? «Il ddl Gelmini colpisce a morte l’università pubblica. Chiediamo il ritiro dei pesanti tagli finanziari sulle università. Diciamo no alla governance, vogliamo la democrazia negli Atenei. La Gelmini deve capire che la comunità scientifica non vuole questo disegno di legge». E come pensate di muovervi? «Bloccando la vita quotidiana in tutti i novantasei Atenei contemporaneamente». Da quanto tempo è precario? «Dieci anni. La mia unica fonte universitaria ammonta a duemila euro l’anno. Lavoro come un prof ordinario e guadagno meno di cento euro al mese. Non mi bastano per la mia famiglia. Avevo un assegno di ricerca, ma è scaduto a settembre». Più rabbia o più delusione? «No. Non lo sono più. Prima mi sentivo tradito e vedevo tutto grigio. Adesso ci credo ancora ma non intendo arrendermi. La exit strategy la voglio trovare dentro l’università. Non è possibile che un’intera generazione messa in ginocchio non reagisca. Non ci sono vuluto andare io sulle barricate. Mi ci hanno costretto». ROMA miervasi@unita.it