Commento di Galli della loggia – 30 ottobre (corriere.it)
LA PROPOSTA GELMINI
NON DIVIDIAMOCI SULL’ UNIVERSITA’
«Un’ occasione fondamentale per più versi irripetibile»: ha ragione il rettore della Statale di Milano, Enrico Decleva, a definire con queste parole il disegno di legge elaborato dal ministro Gelmini e approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri. Per la prima volta da decenni, infatti, si affronta la questione dell’ università nel suo complesso e in modo organico, delineando una prospettiva riformatrice a 360 gradi. Sono tre i nodi decisivi su cui il progetto innova profondamente.
Il primo è rappresentato dalla questione della governance ovvero, per far capire a tutti, la questione di chi e come governa gli atenei. Sacrosanto appare, da questo punto di vista, limitare a otto gli anni in cui rimangono in carica i rettori, per impedire la nascita di poteri a vita, di fatto monarchici; altrettanto opportuno rendere il loro ruolo più incisivo e autonomo sottraendolo alla continua mediazione (sempre anticamera di inefficienza) con le corporazioni interne di ogni tipo. A questo stesso ordine di buoni propositi appartengono anche le disposizioni volte a limitare la proliferazione inconsulta di facoltà, sedi e corsi di laurea. Secondo nodo, il reclutamento dei docenti. Per quelli più anziani viene posto fine allo scandalo dei concorsi su base locale compiacentemente ad personam, e viene istituita per ogni raggruppamento di materia una lista di idoneità a numero limitato, decisa su base nazionale, da cui le singole facoltà dovranno attingere per le chiamate dei docenti. Per i ricercatori all’ inizio della carriera, invece, si abbandona il sistema attuale di una immediata e definitiva immissione nei ruoli stabilendosi opportunamente un periodo di sei anni di «prova», solo se si supera il quale, in seguito a un giudizio anche questo nazionale, si entra poi in ruolo come docenti a pieno titolo. Il terzo nodo che il disegno di legge Gelmini affronta è quello dello statuto dei professori ordinari. Qui la principale novità consiste in primo luogo nella possibilità di sottoporre a una verifica la loro produzione scientifico-culturale nonché l’ adempimento effettivo dei loro obblighi didattici; in secondo luogo l’ introduzione, finalmente, di una retribuzione almeno in parte modulabile a seconda del merito. D’ ora in poi un premio Nobel e un docente assenteista e fannullone cesseranno di ricevere il medesimo stipendio. Tutto perfetto dunque? Per carità. Ma perfettibile, ed è questo ciò che conta. Dal momento che, con una scelta di cui non può sfuggire il valore politico, il ministro e il governo hanno scelto saggiamente la via del confronto parlamentare, ed è dunque nel corso di questo confronto che sarà possibile introdurre gli eventuali, necessari, aggiustamenti. Per esempio, a giudizio di chi scrive, calibrare meglio il potere forse eccessivo dato ai rettori, valutare meglio l’ opportunità della presenza di interessi extra-universitari all’ interno del consiglio di amministrazione, precisare il meccanismo delle idoneità. Ma ripeto, di ciò ci sarà modo di discutere in Parlamento con il contributo di tutti. Così come ci sarà modo, una volta avviate le cose sul binario giusto, anche di chiedere con forza che si spenda per l’ università quel che si spende nel resto d’ Europa. L’ importante ora è che questa volontà di discutere ci sia e si manifesti con chiarezza. Di discutere: evitando perciò di sfruttare tenaci faziosità e inevitabili malcontenti con proclami demagogici e mobilitazioni di piazza, evitando di pretendere un impossibile meglio impedendo il possibile bene. E dall’ altra parte, beninteso, accantonando inutili rigidità. Come si sa, è stata proprio questa, invece, la via micidiale percorsa negli ultimi trent’ anni, che si è rivelata ideale per consegnare l’ università agli interessi corporativi, all’ inefficienza, alla paralisi attuale. Bisogna convincersi che istruzione e ricerca sono due dei settori strategici che decidono del futuro dell’ Italia. Che decidono, oggi, se tra vent’ anni saremo ancora in grado di stare con onore nella competizione mondiale oppure se continueremo nel declino presente. Su questioni del genere un Paese serio discute fino in fondo, sì, ma non si divide per pure ragioni di schieramento politico.
Galli Della Loggia Ernesto (30 ottobre 2009) – Corriere della Sera