Commenti in merito al pacchetto università – 4

Dal Corriere di Ragusa (on line)

Attualità

RAGUSA – 03/07/2009

Il sistema di accesso alla carriera accademica e la povertà di risorse destinate alla ricerca

Università italiana in agonia dopo la riforma Gelmini

Le
borse di studio dei dottorandi di ricerca viaggiano intorno agli 800
euro circa mensili, cifra con cui un laureato di Modica o di Messina
difficilmente può sopravvivere a Roma o a Milano

 

Foto

L’università
italiana vive due problemi gravi, paralleli e inscindibili: il sistema
di accesso alla carriera accademica e la povertà di risorse destinate
alla ricerca, tanto più dopo la Riforma del ministro alla pubblica istruzione Maria Stella Gelmini (nella foto).

Partendo
dalla questione dei fondi, da un lato le norme introdotte dall’attuale
governo con il decreto 180 per premiare il merito (nodo irrisolto anche
nella magistratura e nella pubblica amministrazione) richiedono ai
docenti di fare concretamente ricerca e pubblicare i risultati del
proprio lavoro, cosa che si intende realizzare con l’istituzione
dell’anagrafe nazionale nominativa di professori e ricercatori e
l’obbligo di pubblicità delle attività di ricerca, e con la (assai
blanda) conseguenza della «diminuzione della metà dello scatto
biennale» di carriera in caso di «mancata effettuazione di
pubblicazioni scientifiche nel biennio».

Dall’altro lato, vi
sono università e facoltà in cui gran parte dei soldi a disposizione
viene spesa per il personale, con il risultato che i giovani
ricercatori non ricevono contributi economici per le pubblicazioni, e i
professori di ruolo, certo economicamente messi meglio, si vedono
costretti a pubblicare di tasca propria. Il tutto, peraltro, aggravato
dall’ancoraggio a un concetto unicamente ‘cartaceo’ di pubblicazione.
Certo, si può discutere se sia il caso di destinare migliaia di euro
per ricerche in ambito letterario, storico, filosofico, ecc. (specie in
tempi di crisi economica diffusa) anziché concentrare gli sforzi in
settori di più immediata ‘utilità’ per l’uomo (medicina, ingegneria,
informatica, ecc.), ma questo è un tema ampio e diverso da quello di
cui qui si discute.

D’altra parte, la legge sull’editoria
dilapida da anni, in Italia, somme ingenti per foraggiare giornali
letti da nessuno o quasi. Di fatto, comunque, le borse di studio dei
dottorandi di ricerca viaggiano intorno agli 800 euro circa mensili,
cifra con cui un laureato di Modica o di Messina difficilmente può
sopravvivere a Roma o a Milano, a meno di non alloggiare in
posti-letto, nutrirsi di panini e condurre, in generale, una vita molto
spartana.

Quanto al problema dell’accesso alla ricerca e
all’insegnamento in modo stabile, è noto come le selezioni si riducano
spesso a una finzione. Il motivo è duplice, in parte strutturale e in
parte legato a una gestione ‘familiare’ o comunque non-meritocratica
dell’università. Per un verso, volendo il docente di ruolo avere con sé
una persona che stima umanamente e professionalmente, e di cui magari
ha seguito il ‘cursus studiorum’, l’obbligo di transitare attraverso il
canale dei concorsi trasforma questi in un mero adempimento
burocratico.

In paesi quali la Germania, in Europa
continentale, o negli Stati Uniti (meta classica dei «cerveli in
fuga»), il reclutamento dei professori avviene con un’impostazione
privatistica. Ciò è in linea con il desiderio delle università di
accaparrarsi i ricercatori e i professori migliori, o che hanno il
curriculum vitae più interessante o più aderente alle caratteristiche
dell’ateneo. Per altro vero, tuttavia, sarebbe poco utile (oltre che
falso) negare che esistono nell’università italiana criteri vichiosi e
familiari della gestione dei posti e delle risorse disponibili. Sono
troppi i casi di continuità intergenerazionale nella successione delle
cattedre . Essendo questo il quadro generale, dovrebbe sembrare a tutti
evidente come aumentare i fondi per la ricerca senza cambiare
contestualmente il sistema università sarebbe inutile e anzi
controproducente, perché avrebbe come risultato solo di rafforzare e
quasi legittimare le cattive abitudini.

Così la pensa anche la
ricercatrice italiana Rita Clementi nella sua lettera-denuncia spedita
al Presidente della Repubblica con cui annunciava la decisione di
trasferirsi negli Stati Uniti dopo anni (lei 47enne) di precariato,
nonostante le importanti scoperte sull’origine genetica di alcuni
linfomi. Oltretutto, i cambiamenti o si fanno davvero o non si fanno:
prevedere, nella nuova disciplina dei concorsi, il doppio criterio
dell’elezione di dodici ordinari e del sorteggio, tra gli eletti, di
quattro commissari a cui aggiungere il membro interno designato dalla
facoltà che bandisce il concorso, non sortirà alcun effetto.

Anche
oggi, per fare un esempio, i dottorandi di ricerca sostengono la
discussione finale con professori che non hanno mai visto, ma salvo
imprevisti imprevedibili il felice esito dell’esame non è quasi mai in
dubbio. Imporre poi lo stop alle assunzioni per gli atenei ‘spreconi’,
ossia quelli che spendono oltre il 90% dei finanziamenti statali (Fondo
di Finanziamento Ordinario) in stipendi, è certo dovuto all’intasamento
clientelare che affossa i bilanci di molte università e potrebbe quindi
produrre effetti virtuosi, ma è anche (anzitutto?) in grado di
paralizzare le aspettative di dottori e assegnisti di ricerca. La norma
secondo cui delle possibili assunzioni almeno il 60 per cento dovrà
essere riservato ai nuovi ricercatori resterebbe così inefficace, e i
ventilati 4000 nuovi posti rimarrebbero allo stato di utopia.

In
tempi in cui si lotta per la sopravvivenza dell’università di Modica e
di Ragusa, e in cui si straparla della necessità, tramite tale
salvataggio, di proteggere il ‘futuro’ dei giovani iblei, non è ozioso
pensare che i luoghi in cui si vede il proprio futuro sono gli stessi
che il futuro intossicano e sclerotizzano, tramandando usanze
anti-meritocratiche e improntate alla mancanza di trasparenza. Ecco
perché i problemi del finanziamento alla ricerca e della gestione dei
fondi sono inscindibili e, come tali, andrebbero sempre osservati con
sguardo sinottico.

 

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