Dall’OndaPrecaria Nazionale.
"Sensazionale sentenza del TAR di Venezia: la cooptazione universitaria è anticostituzionale"
Nel mare magnum delle notizie riguardanti la necessità di riformare l’Università italiana in senso meritocratico c’è una novità: anche la magistratura amministrativa rileva che, laddove si ravvisi una mancanza di meritocrazia nell’attuale sistema di reclutamento di professori e ricercatori tramite le cosiddette procedure di valutazione comparativa (i concorsi), tale fatto assume un rilievo di incostituzionalità.
È successo che un gruppetto di sconfitti in un concorso per un posto da ricercatore in filosofia teoretica, letto il verbale conclusivo del concorso, abbia ritenuto di aver subito un’ingiustizia nelle valutazioni. Lo studioso dichiarato vincitore dalla Commissione giudicatrice, infatti, era quello che fra tutti i partecipanti possedeva il curriculum scientifico-professionale apparentemente più debole, mancando per di più di alcuni requisiti ritenuti preferenziali ai sensi di legge (posseduti invece dagli altri candidati); con l’aggravante, per giunta, che il vincitore era allievo diretto, negli studi universitari e nel dottorato, del presidente della Commissione (curatore peraltro di una delle due pubblicazioni presentate dal candidato).
Di solito queste cose sono accettate con spirito di rassegnazione. Da un lato viene detto ai giovani studiosi che, in mancanza di un vizio formale, è inutile chiamare in causa avvocati e giudici. Dall’altro si dà per assodato che le valutazioni espresse dalla Commissione giudicatrice siano insindacabili, e che ciò basti a garantire della bontà della scelta finale.
Stavolta, tuttavia, i candidati sconfitti hanno deciso di perseguire le vie legali. E il giudice ha dato loro ragione. Perché? Non solo per il fatto che il vincitore era apparso favorito in questa particolare circostanza; ma anche, più in generale, per il modo non conforme a legalità in cui questa e molte altre cosiddette valutazioni comparative vengono svolte. L’opinione dei giudici sembra essere che, laddove manchino criteri precisi per l’assegnazione dei punteggi relativi a titoli, pubblicazioni e prove d’esame, la valutazione non sia effettivamente comparativa, ma una specie di scelta arbitraria, messa in atto tessendo elogi a favore del vincitore in pectore. Questo metodo è equivalente a una forma mascherata di cooptazione dello studioso da parte della comunità scientifica – fatto questo tanto più evidente, se si pensa che il presidente di Commissione è spesso il mentore accademico del prescelto (oltre che il membro interno designato dall’Università che ha bandito il concorso).
Il giudice sembra quindi avere ribadito un criterio generale che va al di là di questo caso particolare, appellandosi alla costituzione. La comunità accademica dovrà forse adesso dire da che parte sta.