Pubblichiamo la lettera aperta di un ricercatore rivolta a Santoro e a tutti i giornalisti
LETTERA APERTA A MICHELE SANTORO SULL’UNIVERSITA’
a:
ANNOZERO, BALLARO’, IL SOLE 24 ORE, LA REPUBBLICA, CORRIERE DELLA SERA, IL MANIFESTO, L’UNITA’, IL MESSAGGERO, L’ESPRESSO, FAMIGLIA CRISTIANA,
e p.c. Presidente CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), ANDU (Associazione Nazionale Docenti Universitari), FLC-CGIL (Federazione Lavoratori della Conoscenza ¬ CGIL), Presidente SISVET (Società Italiana delle Scienze Veterinarie), Presidente SOFIVET (Società Italiana di Fisiologia Veterinaria), ONDA
Egr dott. Santoro,
Le scrivo in riferimento alla trasmissione "annozero" del 20 novembre scorso.
a. Progetti di ricerca
Durante le ultime settimane, mi è capitato almeno tre volte, di cui due in "Annozero" (una in "Ballarò"), di assistere a attacchi denigratori e derisori nei confronti dei titoli di alcuni progetti di ricerca.
Sottolineo "titoli", in quanto la fanfara mediatica impedisce di entrare minimamente nel merito delle questioni. Ritenevo inizialmente che la mostruosa grossolanità di questi spiritosoni in mala fede, invitati regolarmente alle suddette trasmissioni, fosse evidente soltanto per gli addetti ai lavori. Sicché, personalmente, sono orripilato nel sentir citare in senso spregiativo ricerche nell’ambito della Medicina Veterinaria: sull’Asino dell’Amiata (salvaguardia di specie e razze in estinzione, biodiversità, sviluppo sostenibile produttivo e sociale del territorio, terapia assistita per pazienti umani disabili, latte di asina come alimento funzionale e per bambini allergici, sono probabilmente tematiche sconosciute al ministro Rotondi e ai più o meno attempati studenti filogovernativi); qualità del prosciutto (sicurezza e qualità degli alimenti, valorizzazione dei prodotti tipici locali, impulso alle esportazioni di prodotti pregiati, ritenevo che fossero interessi di una certa rilevanza nazionale); stress e fatica nel cavallo sportivo (a parte il fatto che la sensibilità per il benessere animale è un segno di evoluzione civile, probabilmente non tutti hanno una idea sia pur vaga del valore economico dei cavalli atleti e del volume di affari che li circonda non interessava il PIL?). Ma irritazione e sconforto sono aumentati quando ho sentito citare i titoli di progetti scientifici relativi a discipline di cui sono digiuno, ma di cui non stento comunque a intuire la rilevanza culturale, sociale e applicativa, quali la psicopedagogia (cito a memoria: "autostrutturazione del sé prima dell’adolescenza") o scienze mediche e sociali ("condizioni psicofisiche sui luoghi di lavoro",
o qualcosa del genere) o cultura orientale. L’avvilente e allarmante sarcasmo che ha accompagnato tali citazioni è apparso quasi contagioso nel compiaciuto studio televisivo, mentre il patinato attore/politico di turno dimostrava un sé assai poco autostrutturato e una assoluta inesperienza
dello stress e della fatica sul posto di lavoro. Analogamente, il suo collega che in altre occasioni disprezzava le ricerche sul prosciutto, non è presumibilmente avvezzo a consumare alimenti di qualità, peccato per lui. Bastava leggere e capire l’introduzione ai progetti, oltre che il titolo, per evitare vere e proprie figuracce. Per usare una metafora forse comprensibile all’interlocutore di cui sopra, è esattamente come parlare di storia e cultura cinematografica, conoscendo e citando a casaccio soltanto i titoli di alcuni film.
Mi rivolgo a lei, dott. Santoro, poiché, in virtù della sua reputazione professionale, a mio avviso dovrebbe cercare di evitare che i suoi invitati (s)parlino a sproposito di cose di cui non hanno (e non sono tenuti a avere) la benché minima cognizione. Comprendo che la spettacolarizzazione e la banalizzazione di certe tematiche sia funzionale al sistema televisivo, ma trovo assolutamente disdicevole e intollerabile, che certe volgari e offensive provocazioni vengano pedissequamente reiterate, senza la possibilità di un sia pur superficiale contenzioso.
In realtà dovrebbe essere chiaro che sotto attacco non sono le singole ricerche (che non meritano certamente di essere valutate in questo modo aberrante) ma l’intero sistema della Istruzione pubblica, dell’alta Formazione e della Ricerca, della Scienza, della Cultura e dell’Arte.
Tutte cosette che per loro natura e in particolare nel contesto italiano sono fondamentalmente pubbliche. Tutte cosette per cui l’Italia ha da sempre e finora svolto un ruolo preponderante a livello planetario. A proposito di sprechi e di finanziamenti ministeriali per i progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale ("PRIN"): la totalità di questi ultimi nella totalità degli ambiti disciplinari (scienze esatte, umanistiche, biomediche, ecc ecc, tutto insomma, dall’astrofisica, alla filologia romanza, alla cardiochirurgia), non solo è scandalosamente esigua (dell’ordine di grandezza dei 100 milioni di euro annui, sempre di meno, sempre più in ritardo), ma soprattutto da molti anni corrisponde circa al finanziamento ministeriale per un unica struttura, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, che si dovrebbe occupare di robotica umanoide, e il cui presidente è anche il direttore generale del Tesoro, al ministero dell’Economia e delle Finanze (sponsor più illustre: il Ministro Tremonti).
Siccome non c’è limite all’ingordigia, nella famigerata Legge 133, proprio quella dei tagli per tutti, il suddetto Istituto di Ricerca è l’unico a avere assegnate ingenti risorse (Art. 17 comma 2).
Allora, ce le vogliamo fare altre quattro risate, invocando lo scandalo, ma stavolta sul serio?
b. Gerontocrazia, didattica e ricerca
Durante la trasmissione "annozero" del 20 novembre scorso sono stati anche riportati dati circa l’elevatissima età media dei docenti-ricercatori universitari italiani. Dati un po’ più analitici relativi alle singole fasce di docenza sono ancora più clamorosi e sconcertanti, soprattutto in
riferimento ai Paesi UE, oppure OCSE, oppure, peggio ancora, rispetto ai nostri più diretti vicini (ormai solo in senso geografico). Purtroppo non mi sembra che durante le suddette trasmissioni televisive sia sufficientemente emerso che tale situazione è banalmente il risultato
ovvio e inevitabile di anni di blocchi del reclutamento, espliciti o indiretti a causa della cronica mancanza di fondi. Il che è confermato anche dall’elevato rapporto studenti/docenti in Italia, lontanissimo dalle medie e dai valori dei suddetti Paesi di riferimento. Quindi, oltre ad
essere i meno pagati, siamo anche i meno numerosi. Ciononostante i risultati della attività formativa sono tutt’altro che disprezzabili, dal momento che è opinione condivisa e sostanzialmente corrispondente a verità, che i nostri laureati e dottorati, non appena varcano i sacri confini nazionali, vengono contesi e accolti con tappeti rossi.
Molti Atenei si stanno dotando di certificazioni di qualità per i Corsi di Laurea. L’attività didattica negli ultimi lustri è andata avanti dignitosamente (in media) grazie al fatto che i nostri ricercatori strutturati dedicavano poco tempo alla ricerca, mentre i precari della
ricerca contribuivano in maniera significativa anche alla attività didattica. Rallentamenti e blocchi delle procedure di reclutamento sono anche la causa dell’esorbitante numero di precari e della loro elevata età media.
Come è possibile parlare di Università, anzi di crisi e dissesto dell’Università, rappresentando soltanto baronie e malaffare (un cancro, ma notoriamente specchio dell’intera società) senza premettere e considerare che l’Università italiana è da anni patologicamente
sottofinanziata?
Secondo dati OCSE (se ancora conta qualcosa) siamo agli ultimissimi posti per tutti i parametri più significativi relativi agli investimenti ("investimenti", non "spese") statali per l’Università e la Ricerca (rispetto alla percentuale del PIL, ben al di sotto della media e circa la metà rispetto ai nostri più diretti vicini di riferimento). Ci stiamo inesorabilmente allontanando dalla possibilità di rispettare accordi internazionali fondamentali (trattato di Lisbona). e ecco perché un miliardo e mezzo di euro in meno sono un colpo mortale, cioè semplicemente incompatibili con la sopravvivenza, anche dei più bravi e virtuosi. Questa non è un’opinione, ma un fatto, finora non confutato, e come tale dovrebbe essere più chiaramente esplicitato in trasmissioni che si occupano di tali argomenti.
Quindi, in queste condizioni, se abbiamo fatto perfino una didattica decente, che cosa ne è stato della ricerca? In realtà, con scarsissimi mezzi umani, materiali e strutturali, i ricercatori italiani risultano sempre ai primi posti per produzione scientifica (per esempio numero di pubblicazioni pro-capite). I giovani ricercatori italiani fanno man bassa dei finanziamenti europei (ma nella maggior parte dei casi sviluppano i loro progetti all’estero). Allora, come abbiamo fatto finora a fare le nozze coi funghi? Tra l’altro, grazie al fatto che la maggioranza delle persone di ruolo ha svolto con dedizione e competenza il proprio lavoro (ed anche quello di qualcun altro, evidentemente), ma soprattutto grazie all’eroico sacrificio delle decine di migliaia di precari dell’università (ricercatori, ma anche tecnici e amministrativi). Considerazioni sovrapponibili a quelle riguardanti la situazione della scuola con i suoi 130 mila precari. L’"ONDA" è anche questo, e siamo infinitamente grati agli studenti per averlo immediatamente compreso e riconosciuto. "Eroico sacrificio" non è espressione retorica: senza considerare la qualità e il tenore di vita dei suddetti lavoratori (in termini di ansia, incertezza, privazioni e rinunce), basta correlare semplicemente le retribuzioni (parole grosse) rispetto alla mole e qualità del lavoro svolto. Nella maggior parte dei casi le uniche motivazioni sono "soltanto" la passione per il proprio lavoro e la consapevolezza di poter contribuire all’ampliamento delle conoscenze e alla formazione culturale e professionale, ciascuno nel proprio limitatissimo ambito. In periodo di crisi stiamo buttando al vento un patrimonio umano inestimabile di migliaia di professionisti e scienziati, anche con 10-15 anni di esperienza in settori strategici, che hanno all’attivo titoli e successi documentati e misurabili. Ce lo possiamo permettere? Non si tratta soltanto dei sacrosanti diritti e delle sacrosante aspettative dei lavoratori precari, conquistati sul campo a caro prezzo: anche dal punto di vista degli interessi generali collettivi, rinunciare a loro significa rinunciare all’ampliamento del Sapere e della Cultura, alla innovazione scientifica e tecnologica, allo sviluppo dell’Arte e dei Mestieri. In breve, si stanno minando le possibilità di ripresa e crescita del Paese, il che è immorale, insensato e criminale.
c. Fondazioni universitarie
Anche su questo argomento si succedono interventi che nella maggior parte dei casi non contribuiscono a informare sulla verità. La privatizzazione (teoricamente facoltativa, ma di fatto inevitabile e completa, per quello che si può prevedere alla luce delle disposizioni legislative attualmente vigenti), rappresenta indubbiamente la fine del diritto allo studio nonché della ricerca di base, nei cui settori l’Italia mostra sovente i propri punti di forza e le eccellenze. Ma c’è dell’altro: spesso si ingenera l’equivoco che le università pubbliche verranno sostituite da università private. In realtà si può prevedere che nella stragrande maggioranza dei casi non ci saranno più le università, e basta. Dove stanno e chi sono tutti questi privati interessati a investire risorse per far funzionare corsi di laurea e laboratori? Forse le banche o le società finanziarie? Ma non dovevano essere salvate con i soldi nostri? Quale tessuto territoriale sociale, economico e produttivo potrà permettersi di supportare avventure del genere? In Italia peraltro la ricerca privata è praticamente inesistente. Piuttosto, la natura e la qualità delle improbabili cordate nazional-popolari potenzialmente interessate, possono essere dedotte considerando gli enormi appetiti sul non indifferente patrimonio demaniale di mobili e immobili, esentasse e senza vincoli di destinazione d’uso: "Al fondo di dotazione delle fondazioni universitarie e’ trasferita, con decreto dell’Agenzia del demanio, la proprietà dei beni immobili già in uso alle Università trasformate. Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli immobili e tutte le operazioni a essi connesse sono esenti da imposte e tasse." (L133/2008, Art. 16 comma 2 e 3).
Tutto questo mi aspetterei di ascoltare in una trasmissione televisiva che tratta di Università e Ricerca.
Cordialmente.
24 novembre 2008
Lettera firmata