Ieri lunedì 20 ottobre i non strutturati di scienze politiche, insieme con qualche ricercatore, si sono incontrati per discutere della riforma e delle iniziative.
Dall’incontro è emerso, in generale: la necessità di coinvolgere soprattutto i ricercatori nelle nostre rivendicazioni; la volontà di far esprimere i docenti al riguardo; la proposta di lezioni in piazza con gli studenti, come forma di protesta; la necessità di emergere nel dibattito pubblico anche come categoria autonoma (appunto, non strutturati), con rivendicazioni e richieste specifiche.
Nello specifico: è stato stilato il comunicato per l’intervento agli stati generali del 21 ottobre; sono stati presi accordi con i ricercatori; è stato negoziato un incontro con il preside di scienze politiche perché ci spieghi, fonti alla mano, come esattamente la riforma inciderà su di noi, sulla ricerca, sul reclutamento nella facoltà di scienze politiche (sarebbe importante fare lo stesso nelle altre facoltà).
Prossimo incontro a scienze politiche: martedì 28 ottobre h16 davanti al bar.
Più sotto nel post il testo dell’intervento:
Testo intervento
Noi, in quanto dottorandi, assegnisti
e non strutturati della Statale e di altri atenei, sentiamo la necessità di
opporci in modo forte alle decisioni prese da questo governo.
La legge 133 e la riforma Gelmini
prevedono tagli che incidono in misura estremamente negativa su di noi, sul
nostro futuro e sulle nostre carriere, sui futuri dottorandi così come su
coloro che domani, non più assegnisti, sperano di entrare nella cerchia degli
strutturati d’Ateneo.
Il blocco dei concorsi per i prossimi
tre anni, la contrazione delle borse di dottorato (quest’anno già ridotte del
20%), e più in generale la riduzione del Fondo Finanziamento Ordinario riducono
drasticamente la possibilità dei futuri laureati di diventare dottorandi, dei
dottorandi di continuare il proprio percorso di ricerca (sia nella forma degli
assegni di Ateneo che sui PRIN), e rendono sempre più un miraggio non solo
l’eventualità di un posto da ricercatore, ma anche solo il rinnovo degli
assegni in scadenza.
Vogliamo qui fare presente che, anche
se questo non rientrerebbe nel nostro ruolo, è sulle nostre spalle un carico
didattico notevole, siamo infatti quelli che quotidianamente elaborano e
correggono le prove scritte degli studenti, che interrogano nel corso delle
prove orali, che seguono le tesi di laurea, che preparano materiali didattici
come fotocopie, dispense e presentazioni power point, facciamo ricevimento,
rispondiamo alle mail degli studenti quindi chi non ci avesse a cuore solo per
la ricerca di qualità che comunque molti di noi continuano a fare nel silenzio
e nel disinteresse generale, sappiano che questi tagli porteranno con sé una
generale riduzione della qualità, e non solo della quantità, della didattica
nel nostro ateneo.
Siamo anche coloro i quali, se
partecipano a ricerche per enti esterni (o cercano di arrotondare svolgendo
altri lavori) non possono essere pagati, in quanto, anche se dottorandi senza
borsa, questo reddito risulta incompatibile con la nostra posizione
amministrativa.
Noi non siamo per la difesa
dell’esistente, chiediamo maggiore trasparenza nei concorsi e nel reclutamento
del futuro personale docente, e siamo i primi ad essere colpiti dal sistema di
dipendenza personale che è soltanto uno dei tanti aspetti del famigerato
baronaggio che getta discredito sull’Università italiana, e che di fatto limita
la capacità critica di molti nostri colleghi.
Ma, dato che in Italia i soldi si
trovano, per salvare bancarottieri, speculatori e guerrafondai, aziende
fallimentari che producono debiti colossali che paghiamo noi, con le nostre
tasse, reclamiamo un livello di investimenti nella ricerca pubblica che ci
riporti almeno nella media europea, e vogliamo che l’Università rimanga
pubblica, perché di tutti è il diritto ad un’istruzione di qualità, non solo in
quanto la ricerca ci rende innovativi, competitivi e più produttivi, ma perché
l’istruzione, pubblica e per tutti, garantisce la mobilità sociale in un paese
che è, come continuamente ci viene ricordato, vecchio e ingessato.
Mentre la durata del precariato
universitario si allunga, noi continuiamo a rimanere esclusi dalla
rappresentanza in contesti quali il Consiglio di Facoltà e il Consiglio di
Amministrazione, e stiamo dunque chiedendo, come è già successo in altri atenei
in Italia, il diritto di poter ascoltare ed intervenire in quelle sedi nelle
quali sono prese decisioni che giocano una parte tanto rilevante nei nostri
destini.
Ci stiamo in questo senso muovendo
verso una richiesta di rappresentanza non solo straordinaria, ma ordinaria e
continuativa, in tali organi accademici, e auspichiamo che il personale docente
tutto si mostri
solidale con le persone che ha formato negli anni, e grazie a cui ha potuto, in
modo più o meno baronale, continuare ad esercitare la propria docenza.
forma di solidarietà si concretizzi in un giorno di blocco simbolico della
didattica.