Statali e insegnanti in corteo. I «soliti noti» contro la manovra
«Noi abbiamo il diritto di non essere ingannati. Il governo non dica cose false sul futuro del Paese. Noi non ci chiamiamo Alice e non viviamo nel paese delle meraviglie». Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani parla in piazza del Popolo di fronte ad una marea rossa di bandiere e raccoglie lunghi e ripetuti applausi da questo popolo reale, in carne ed ossa, che è venuto a Roma da tutta Italia per dire no alla manovra del governo. Nessun riferimento a questa manifestazione nazionale nei titoli del Tg1 delle 13.30 di Augusto Minzolini, silenzio sul grido di allarme che migliaia di lavoratori e lavoratrici, precari, pensionati, ricercatori, giovani e vecchi lanciano sfilando per le vie della Capitale. Gli organizzatori annunciano dal palco 100mila persone, la Questura 25mila. Sminuire, come ha fatto il governo con la crisi, fino ad ora. Ma questo «fiume rosso», così lo definiscono gli organizzatori, si ingrossa via via, e la piazza diventa sempre più stretta: in fondo è come il dissenso a Silvio Berlusconi, cresce e anche se non tutti lo raccontano prima o poi si imporrà.
Questo non è il paese delle meraviglie: è il paese di Umberto Pugliese, per esempio, che dice, «prendiamo 1400 euro al mese, non evadiamo neanche un centesimo e siamo quelli che pagheranno ancora». Dieci passi più in là c’è una banda che suona l’Internazionale, «siamo qui per Pomigliano D’Arco, cuore del Sud che rischia di fermarsi». Si protesta, si balla, si canta, si marcia. «Peccato che il governo non capisca che investendo sull’energia pulita si creano posti di lavoro e anche da lì può ripartire il Paese. Avrebbero potuto farlo con questa manovra e invece tagliano “linearmente”», commenta Marco, ricercatore di Pisa. A Roma sfilano quelli «che ogni giorno tirano la carretta – per dirla con e Epifani – e non sanno come arrivare alla fine del mese». «Tremonti questa volta l’hai fatta grossa», urla dal megafono un impiegato con il berretto rosso e la maglietta slogan «Tutto sulle nostre spalle».
La ministra Gelmini, invece, è stampata su quelle di studenti, ricercatori e insegnanti. C’è anche una ruota della Fortuna, con sopra i volti dei ministri e di Bonanni della Cisl, sindacato assente, come la Uil, d’altra parte. Il «fiume rosso» scorre lento e si ingrossa sempre di più, qua e là qualche bandiera di Rifondazione, dell’Idv, ma questo è il corteo della Cgil. Qui nessuno nega la necessità di una manovra, non è un popolo di ingenui, ma non è questa la manovra che chiedono. Se solo si fossero fatte prima le cose che si dovevano fare, «qui e in Europa – dice Epifani – stabilendo regole certe per la finanza internazionale», forse oggi i sacrifici sarebbero meno pesanti. Se solo paghessero tutti «sarebbe un paese più giusto».
Chi c’è e chi non c’è
A quelli che non ci sono, Cisl e Uil, la piazza regala un fischio, Epifani si limita a un punto interrogativo: «Dov’è l’equità in questa manovra?». Quanto al Pd: «Ha la sua manifestazione. Ha detto che aderiva a questa nostra iniziativa, ma il mio problema non è chi aderisce, ma chi condivide il cuore dei nostri ragionamenti». Ignazio Marino è meno diplomatico: «Mi aspettavo una delegazione, come annunciato dal segretario, qui oggi non vedo neanche una bandiera del Pd. Vorrà dire che la prossima volta me la porterò da solo». I politici presenti, Cesare Damiano, Vincenzo Vita, Filippo Penati, Stefano Fassina, David Sassoli, (Pd) Gennaro Migliore e Paolo Ferrero (Sel), e l’Idv di Di Pietro, si confondono tra la folla. Ci sono delegazioni sindacali arrivate da tutte le regioni: lavoro, Costituzione, diritto allo studio, alla salute, libertà d’informazione, tutto tenuto insieme nella Costituzione. Di questo senti parlare sfilando con loro. Sono quelli che alla fine si salutano cantando e ballando insieme sulle note di «Bella Ciao».
13 giugno 2010