Università e lavoro non stanno con loro (vai all’articolo)
– di Luigi de Magistris –
Al contrario di quanto afferma il Governo, con i suoi ministri Sacconi e Gelmini, il mondo dell’università e il mondo del lavoro non sono affatto con loro. E come potrebbero esserlo visto che si procede, in piena crisi internazionale e in senso contrario a quanto compiuto dal resto d’Europa, ad una sistematica e scientifica aggressione verso i loro diritti?
Oggi il ddl Gelmini approda all’attenzione del Senato mentre cresce la protesta di studenti, professori e ricercatori, i quali occupano gli atenei opponendosi ad una riforma che nei fatti si traduce in una falce economica pronta a precipitare sul settore. Strozzare i finanziamenti, già tagliati e in parte da tagliare fino al 2012, si traduce nell’agonia della formazione pubblica, a vantaggio di quella privata di matrice religiosa (ulteriore regalo del Governo alle gerarchie vaticane perché non gli siano ostili). Si stravolge, poi, anche la qualità della docenza: pochi insegnanti di ruolo e uno stuolo di precari e ricercatori da sfruttare, scaricando sulle loro spalle, fragili perché alla berlina del mercato e senza diritti, circa il 40% della didattica ufficiale degli atenei. Così da Milano a Palermo la protesta cresce come un’onda nel tentativo di fare breccia nell’esecutivo, perché sia rispettoso verso quello che è un diritto costituzionale imprescindibile: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, articolo 9 della Carta repubblicana. Tradire la Costituzione è purtroppo prassi regolare del Governo, svuotarla per legge ordinaria è comportamento istituzionalizzato. Così l’articolo 9 viene negato e la stessa sorte tocca all’articolo 1 che afferma che la nostra Repubblica dovrebbe essere fondata sul lavoro. Lo stesso che viene colpito affossandone i diritti e arrivando a proporre la possibilità di licenziare i lavoratori a tempo determinato soltanto a voce, come si faceva nell’Ottocento, all’epoca del latifondo quando, con un semplice gesto della mano, si mandavano a casa i braccianti e si lasciavano nell’angoscia economica famiglie intere. Oppure introducendo l’arbitrato che priva il lavoratore, in caso di controversie (eccetto il licenziamento), della possibilità di far valere i suoi diritti per legge davanti ad un giudice, rendendolo ancor più debole nel momento di massima debolezza. Tutto questo con un blitz autoritario, compiuto al Senato e con il quale sono stati ignorati i rilievi del presidente della Repubblica e il voto della Camera che aveva attenuato la norma. Tutto normale, in una democrazia che ha cessato di esser tale. Tutto normale nel Paese dei conflitti di interesse, dove il principale quotidiano nazionale, il Corsera della Confindustria, può pensare di celebrare e sostenere la morte dello Stato sociale attraverso gli editoriali di “illustri” opinionisti e professori. Tanto il peso di quelle parole, insieme all’operato di un Governo classista e piduista, andranno soltanto ad affossare milioni di vite già provate e offese. E’ la democrazia italiana, bellezza, che ci vuoi fare?