La scure di Brunetta rischia di abbattersi nuovamente sui ricercatori universitari

(Università, PRC)
A cosa sta lavorando il Ministro Brunetta? Stando a quanto pubblicato su La Stampa lunedì scorso, starebbe predisponendo un decreto (da presentare Venerdì 6 al Consiglio dei Ministri) per modificare la legge che porta il suo nome e che è stata approvata in via definitiva appena
due settimane fa.

 

Durante l’iter parlamentare si era infatti aggiunto un emendamento che modificava la Legge Tremonti laddove il prerequisito del prepensionamento forzoso, che nelle Università avrebbe colpito solo i ricercatori, avrebbe coinvolto non più chi ha pagato 40 anni di contributi, ma solo chi ha prestato 40 anni di servizio effettivo. In pratica non si sarebbe tenuto conto dei riscatti a fini pensionistici della laurea ed altri periodi. Un emendamento quindi di mero buon senso, ben diverso da quello che corrispondeva alla richieste delle associazioni della docenza e della Cgil che invece equiparava i ricercatori, di fatto docenti, ai professori universitari, esclusi da sempre dal prepensionamento coatto.
Sul piano della correttezza istituzionale, saremmo veramente ben oltre i confini dell’accettabile. Quale “necessità ed urgenza” presupposto per un decreto legge si può invocare se solo due settimane prima il Parlamento ha utilizzato una legge ordinaria? E non sarebbe poi un grave
conflitto tra governo e parlamento (nel quale il governo, peraltro, ha la maggioranza) che viene bacchettato per aver osato mutare anche solo un articolo di legge voluto dal Governo? Si potrebbe anche intravedere una sfida alle affermazioni del Presidente della Repubblica che ha
invocato la fine dei tagli all’Università pubblica. Sulla sua scrivania giungerebbe infatti il decreto legge per la firma e sarebbe l’ennesima forzatura.
Cosa abbia in mente Brunetta non si capisce. Trapelano infatti le esclusioni dal prepensionamento forzoso non solo di magistrati, professori universitari e primari, come previsto in origine, ma anche di ambasciatori, prefetti, medici con più di dieci anni tra studi universitari e specializzazioni, ed altre categorie ancora. Insomma, un colabrodo.
Che cosa si rischia nelle Università? Che a rimanere nel mirino del sedicente castigatore dei “fannulloni” tornino ad essere i soli ricercatori. E sarebbe veramente paradossale visto che i ricercatori da decenni si accollano oneri di didattica non obbligatori per legge e non pagati. Per “svecchiare le università”? Ma i ricercatori sono i primi ad andare in pensione, e sono la fascia relativamente più giovane dell’Università. Far risparmiare le Università? Ma se i ricercatori sono
la fascia meno pagata. Si rimarcherebbe ancora di più la gerarchizzazione dell’Università, che il potere accademico difende strenuamente.
Ne è riprova l’atteggiamento di molti Rettori che hanno subito colto al volo l’occasione di liberarsi di quella che evidentemente pensano essere “zavorra umana”. In molte Università si stavano già iniziando le procedure di licenziamento. In altre si prevedevano, come a Pisa, dove il Rettore ha giocato l’arma della contrapposizione tra componenti accademiche dicendo ai precari che con il licenziamento dei ricercatori avrebbe potuto dare posti a loro. Eppure tutti sanno che solo un
reclutamento a grandi numeri risolve il problema dei ricercatori precari. In altre ancora, come a Genova, lo stesso Rettore che voleva prepensionare, passato l’emendamento, ha parlato di un “Piano B” basato su prepensionamenti volontari ed incentivati di tutte le fasce (l’unica equa soluzione) ma non ha spiegato come mai non fosse ricorso ad esso prima di predisporre i licenzi amenti. Nulla infatti la Crui aveva detto contro i prepensionamenti, mentre il Consiglio Universitario Nazionale, organismo rappresentativo dell’Università democraticamente eletto, ha
invece preso posizione contro, sottolineando la discriminazione dei ricercatori, paventando la crescita del contenzioso, e richiedendo al legislatore di interpretare la legge Tremonti considerando i ricercatori “parte integrante della docenza ed implicitamente compresi nel termine
/professori/” utilizzato nella Legge.
Con questi episodi l’Università scende ulteriormente di un gradino, e non certo ad opera di chi in essa lavora, ma per mano di chi la dovrebbe difendere, e dovrebbe difendere la libertà di insegnamento e di ricerca, che con l’allontanamento forzoso dall’insegnamento, dai laboratori,
dalle biblioteche, dalle Università, di centinaia di docenti e studiosi, viene messa seriamente in discussione. Oggi per i ricercatori, domani per chi?
Sorge dunque spontaneo il sospetto che il ministro Brunetta non lavori in questo caso come il sedicente riformatore e fustigatore dei vizi della pubblica amministrazione, ma nella sua qualità di professore ordinario e in quanto tale attentissimo alle suggestioni del potere accademico, comprese quelle dei Rettori che si sono visti sottrarre una comoda manovra di (falso) risanamento.
“Necessità ed urgenza”, ricordiamo, nelle Università riguardano tre questioni: prima di tutto il nuovo reclutamento e il superamento del precariato, e insieme la restituzione alle Università delle risorse e dei finanziamenti, come del resto autorevolmente richiesto proprio in questi giorni: Ma infine anche il riconoscimento a circa un terzo della forza lavoro docente nelle Università della funzione da loro effettivamente svolta.

This entry was posted in rassegna stampa. Bookmark the permalink.