9, 16, 17, 1, 6: i precari danno i numeri
Quello che sta per iniziare è un mese di assoluto rilievo per ciò che concerne la lotta alla precarietà. Andiamo in ordine.
Il 9 di aprile ci sarà l’iniziativa “Il nostro tempo è adesso”, indetta da una serie di associazioni e realtà precarie e spalleggiata con forza dalla Cgil che ha messo a disposizione i suoi mezzi e le sue strutture. Dal 15 al 17 a Roma si terranno gli Stati generali della precarietà, patrocinati da San Precario, l’icona pop dei precari e delle precarie. Gli Stati generali giungono alla terza edizione è sono l’espressione più verace delle lotte autorganizzate dei precari e delle precarie. È una grande fucina di idee che riunisce comitati, realtà in lotta, gruppi grandi e piccoli, e una miriade di precari e precarie che si muovono più o meno coordinati a partire dal lavoro, dal sociale o dalla rete.
Il primo maggio si terrà l’undicesima edizione della Mayday che come scrive il Manifesto “che piaccia o no, è la più importante manifestazione del primo maggio in Italia”. Al Manifesto può non piacere, ma ai precari piace tanto, infatti ogni anno partecipano più di centomila persone. Infine, il 6 di maggio ci sarà lo sciopero generale indetto dalla Cgil. Qualcuno lo ha chiamato sciopericchio, qualcun altro come Uniti per lo sciopero (sigla che unisce Fiom, movimenti e associazionismo) cercherà di generalizzare lo sciopero, cioè di allargarne la base d’interesse e l’efficacia.
In queste quattro date si possono leggere i differenti approcci con cui in Italia, a sinistra, si affronta la questione precarietà. Sappiamo di fare un torto a tutti/e facendo delle semplificazioni che riducono inesorabilmente la ricchezza delle posizioni, delle idee, delle rivendicazioni messe in campo. Però per amor di chiarezza correremo questo rischio.
La manifestazione del 9 aprile, “Il nostro tempo è adesso”, è stata indetta da un cartello di sigle che fanno riferimento a percorsi, a siti, ad associazioni che vivono nella precarietà. Molte di queste associazioni non sono legate alla Cgil, ma la presenza del sindacato più grande d’Italia si avverte ogni giorno di più. Male? Bene? Qualcuno userebbe un vecchio adagio: “meglio tardi che mai”. Negli ultimi quindici anni la Cgil dopo aver favorito l’introduzione della precarietà ha avuto momenti di tentennamento, che di volta in volta si sono tradotti in atteggiamenti deboli, contradditori, grosse esternazioni seguite da piccoli fatti. Il Nidil, la branca sindacale che si occupa dei precari, è di fatto fallita, avversata dalle altre categorie e poco efficace nel tutelare i precari. Con l’avvento di Susanna Camusso alla guida della Cgil il vento sembra cambiare direzione e l’investimento sul nove si è fatto vero e massiccio.
Ma i problemi sono come i nodi, giungono subito al pettine. L’approccio con cui si affronta la tematica precaria è parziale. Se ne riconosce la complessità (“la precarietà colpisce la vita intera”), il carattere infettivo (“uccide il futuro”) e l’aspetto generazionale. Tutte cose vere, ma nel migliore dei casi incomplete. Precari e precarie non sono più soltanto i giovani, soprattutto dopo la crisi. E il futuro lo si riconquista se i diritti ricominciano a scorrere nelle arterie di questa società vampirizzata salla precarietà. Ma quali diritti? E come conquistarli? Domande a cui non è stata data risposta. A volte l’assenza di risposta suona come una risposta in sè. Camusso gioca la chiave comunicativa per fare il lifting (perché no, lo fanno tutti nell’Italia di Berlusconi) a una Cgil un pò invecchiata, e i precari diventano i suoi testimonials. Andrà proprio così? Vedremo. Sicuramente la disillusione, il ritardo e le tante incertezze che hanno coinvolto il sindacato nelle vertenze dei precari non permetteranno ulteriori tentennamenti: se son fiori fioriranno.
Una situazione in parte simile si creerà durante lo sciopero generale del 6 maggio. Lo sciopero che la direzione della Cgil non avrebbe mai voluto indire è stato ottenuto tramite l’azione (involontariamente) congiunta del cartello Uniti contro la crisi e le associazioni padronali del pubblico impiego, dei metalmeccanici e del commercio. Ci spieghiamo meglio. Dal basso si è creata una spinta molto forte che ha chiesto a gran voce uno sciopero generale, che ha avuto la sua “prima” durante la manifestazione del 16 ottobre e che ha continuato a pretenderlo in ogni occasIone utile. Dall’altro lato le firme di Csil e Uil, senza la Cgil, nei contratti dei meccanici, del pubblico impiego e del commercio hanno messo in grave imbarazzo il sindacato maggioritario del paese costringendolo a una scelta scomoda. Il cartello Uniti contro la crisi (ora divenuto Uniti per lo sciopero) ha un’elaborazione molto avanzata della questione precarietà, ne ammette il ruolo centrale nei processi di valorizzazione e, passo importantissimo, ha cominciato a introdurre nella piattaforma rivendicativa la richiesta del reddito di cittadinanza.
Dobbiamo dire che la parola “reddito” pronunciata dal segretario del sindacato dei metalmeccanici durante i comizi finali del 16 di ottobre è stato un segnale molto significativo. Tutto bene dunque? Be’ non proprio. È vero che lo sciopero generale è stato strappato anche grazie a una spinta dal basso, ed è altrettanto vero che alcune aperture della Fiom spostano in avanti il baricentro delle rivendicazioni. Ciò che ci lascia perplessi è che i precari, evocatissimi, rimangono relegati sullo sfondo, mal rappresentati dai movimenti e dai metalmeccanici. Uno sciopero generale che accetta un piano d’analisi molto avanzato sulla questione della precarietà e che vi si vuole opporre con forza è scivolato proprio sul punto più dolente.
I precari, quella massa informe e non rappresentata, fluida e intergenerazionale ma al contempo con un baricentro più giovane della media dei lavoratori, non sono stati considerati degni di un approccio politico di primo piano. Citare la disgregazione, l’irrapresentabilità dei precari, la loro difficoltà a scioperare per dimostrare la loro impotenza è un ulteriore prova di confusione. La precarietà è esattamente questa atomizzazione e irrapresentabilità,e non si può ignorare che le sconfitte sociali e sindacali di questo paese sono il suo frutto avvelenato. L’impotenza di chi non ha diritti (precari e migranti) rende il fronte di resistenza friabile. È proprio per questo che serve un loro coinvolgimento diretto in giornate di lotta in cui, con un nuovo patto generazionale, si colpisca tutti insieme i profitti di chi precarizza e restringe i diritti. Non c’è altra strada.
La lotta alla precarietà non può essere altro che la sfida di favorire, costruire, evidenziare la presa di parola delle generazioni precarie all’interno e non all’esterno dei processi di produzione di valore. L’esito positivo o negativo della nostra azione dipende da quanti precari e precarie diventeranno soggetto attivo. Se precari e precarie costruiranno un modo di prendere parola e di affermare le proprie ragioni dentro e contro ai processi produttivi allora vinceremo tutti. Se verranno evocati o trattati come opinionisti o società civile, non saranno né i metalmeccanici a salvarci (hanno già difficoltà a salvarsi da sé), né Susanna Camusso nelle sue peripezie politiche.
Quindi come si suol dire la verità sta nel mezzo, e questo mezzo è ben rappresentato dal ragionamento che sta a monte degli Stati generali della precarietà e della proposta di Sciopero precario. Bisogna fare quello che “Il nostro tempo è adesso” ha fatto nelle ultime due settimane e che San Precario sta cercando di costruire tassello dopo tassello da sette anni: contattare ogni piccola aggregazione di precari. Poi questo lavoro di networking va innestato all’interno di un’idea di sciopero esemplare dove i precari godano delle migliori condizioni per esprimere la propria forza.
Perché se noi precari ci fermassimo si bloccherebbe il paese
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