Il senato ha votato la conversione in legge del DL 180, il testo
dovrà ora andare alla Camera dove sarà licenziato entro l’11 dicembre,
da allora passeranno 30 giorni per la stesura dei regolamenti
attuativi, ecco il testo:
Ed ecco, di seguito, la valutazione delle Università romane in mobilitazione
Comunicato dei dottorandi, ricercatori e docenti precari in mobilitazione –
dagli atenei occupati di Roma
Alcune valutazioni sul DL 180
Il DL 180, recentemente emanato dal consiglio dei ministri e
attualmente in discussione al senato per la conversione definitiva,
non rappresenta in alcun modo una risposta alle istanze del movimento,
poiché lascia sostanzialmente inalterati i tagli al sistema
universitario introdotti dalla legge 133/2008, con effetti che a
partire dal 2010 saranno letteralmente dirompenti per il funzionamento
di quasi tutti gli atenei italiani.
Qualsiasi intervento legislativo dovrebbe invece partire dal dato
oggettivo ed incontrovertibile che il sistema universitario e della
ricerca italiano è sottofinanziato rispetto a quelli delle altre
nazioni industrializzate. A questo proposito denunciamo la violenta
campagna di disinformazione organizzata da più o meno autorevoli
quotidiani nazionali che, pur partendo dalla sacrosanta denuncia di
situazioni di corruzione e nullafacenza, finisce per invocare un
ulteriore disimpegno finanziario e, sulla base di dati elaborati in
maniera subdola e capziosa, vorrebbe addirittura dimostrare che gli
investimenti italiani nel sistema universitario sono superiori a
quelli dei principali paesi europei! Al contrario, sono invece
opportuni e non rimandabili interventi di sostegno al sistema della
ricerca che consentano all’Italia di rispettare gli impegni
sottoscritti a livello internazionale che obbligano ad una crescita
degli investimenti in ricerca fino al 3% del PIL entro il 2010.
L’altro dato da cui i provvedimenti sull’università dovrebbero partire
è che oggi le università e gli enti di ricerca si reggono sul lavoro,
sottopagato e saltuario e in alcuni casi addirittura non retribuito,
di un numero enorme di ricercatori precari. La moltitudine di
tirocini, stage e praticantati tutti rigorosamente non retribuiti non
e’ più tollerabile, così come la dilagante attività didattica a titolo
gratuito.
Pensiamo che non siano piu’ rimandabili interventi volti a dare
diritti e dignità al lavoro dei ricercatori precari. Chiediamo il
superamento di tutte le forme di lavoro precario attraverso
l’introduzione di un unico contratto post doc a tempo determinato, di
durata non inferiore ai due anni, con diritti chiari ed adeguata
retribuzione. Per altro la percentuale dei nostri ricercatori sulla
popolazione attiva è circa la metà di quella degli altri grandi paesi
europei e al di sotto della media OCSE. Dopo anni di blocco
dell’accesso ai giovani ricercatori che ha esasperato la precarietà e
incentivato la fuga dei cervelli, chiediamo che si finanzi un
reclutamento straordinario via concorso, che deve essere seguito da un
reclutamento ordinario via concorso costante nel tempo.
Non siamo contrari a investimenti che valorizzino le esperienze piu’
interessanti, pensiamo pero’ che debbano essere aggiuntivi e non
sostitutivi di parte del FFO. Da questo punto di vista siamo contrari
alla destinazione di una quota rilevante del Fondo di Finanziamento
Ordinario, sopravvissuto ai tagli della 133, ad università definite
"virtuose" sulla base di criteri non specificati.
Ciò premesso, entriamo nel merito del provvedimento governativo,
relativamente all’articolo 1, che riguarda piu’ direttamente i precari
della ricerca e le loro rivendicazioni.
1. Per quanto riguarda il blocco del turnover, il decreto risulta solo
apparentemente migliorativo rispetto alla legge 133. Si eleva al 50%
il turnover per gli atenei cosiddetti "virtuosi", per i quali risulta
in realtà incomprensibile la necessità di un taglio comunque del 50%,
e parallelamente lo si cancella totalmente per quelli "non virtuosi"
(comma 1). Peccato che, per effetto dei tagli previsti dalla legge
133, entro un paio d’anni quasi tutte le università rientreranno in
quest’ultima categoria, per cui la reale conseguenza del d.l. e’
l’abolizione anche del residuo 20% di turnover previsto dalla legge
133. Questo provvedimento risulta molto più grave alla luce del fatto
che nei prossimi anni si assisterà ad una considerevole riduzione del
personale universitario. Infatti andranno in pensione i docenti che
compongono il cosiddetto "tsunami" demografico dovuto alle assunzioni
ope legis avvenute in passato e non saranno sostituiti da nuove
assunzioni.
2. Giudichiamo positivamente l’introduzione di un vincolo di
destinazione del 60% del budget all’assunzione di nuovi ricercatori
(comma 3) che, per la prima volta da quando sono state abolite le
piante organiche, recepisce la richiesta di contrastare la tendenza
dei consigli di facoltà a bandire concorsi da associato e ordinario
per favorire gli avanzamenti di carriera dei propri membri e a ridurre
al minimo i concorsi da ricercatore, con l’inevitabile conseguenza di
abbandonare i giovani a contratti precari di ogni genere
indipendentemente da qualsiasi merito individuale.
3. Dobbiamo rilevare però che questo vincolo viene introdotto con un
trucco pericoloso, in quanto si afferma che "ciascuna università
destina almeno il 60% delle risorse all’assunzione di ricercatori "a
tempo indeterminato, nonché di contrattisti ai sensi dell’articolo 1,
comma 14, della legge 4 novembre 2005, n. 230" (in pratica ricercatori
a tempo determinato). Questa formulazione rappresenta un grave passo
verso la definitiva precarizzazione della figura del ricercatore
universitario e rischia di vanificare gli effetti positivi del vincolo
di destinazione, spingendo le università a fare massiccio ricorso ad
assai più convenienti contratti precari il cui reclutamento via
concorso è stato per di più svincolato dalle nuove modalità introdotte
dal successivo comma 7. Risulta davvero difficile seguire il
ragionamento del governo: se si ritiene necessario un intervento sul
sistema dei concorsi, perché si usa un trattamento diverso per i
concorsi da ricercatori a tempo determinato? Si è forse dell’idea che
questi debbano essere tranquillamente e giustamente manipolati? Noi
chiediamo la cancellazione di qualsiasi riferimento ai contratti a
tempo determinato dal testo del decreto e ribadiamo che la figura del
ricercatore a tempo determinato deve divenire sostitutiva non del
ricercatore a tempo indeterminato, ma di tutte le altre figure
precarie prive dei diritti fondamentali del lavoratore (maternità,
ferie, orari, tutela della salute e della sicurezza, tredicesima
mensilità, protezione in caso di vacanza contrattuale, contributi
previdenziali adeguati…) attualmente presenti nelle università e negli
enti di ricerca italiani.
4. Relativamente agli interventi sulla composizione delle commissioni
(commi 4 e 5) riteniamo che le esperienze passate insegnino che le
modalità di selezione dei commissari non hanno generalmente alcun
impatto sostanziale sulla trasparenza dei concorsi. Ciò premesso,
esprimiamo la nostra preferenza per un sorteggio completamente aperto
e non su rose elettive.
5. Chiediamo che il ministro rispetti il termine di 30 giorni per
l’emanazione dei decreti con le modalità di svolgimento delle elezioni
e del sorteggio e con i parametri di valutazione (commi 6 e 7). Un
eventuale non rispetto dei termini verrà interpretato come una
dimostrazione della volontà di provocare un blocco de facto del
reclutamento. I sospetti che il governo stia manovrando in questa
direzione sono più che leciti.
6. Giudichiamo comunque in maniera positiva l’introduzione di nuove
regole per il reclutamento dei ricercatori (comma 7). Condividiamo la
scelta di abolire la prova scritta e la prova orale, da sempre sede di
manipolazione degli esiti concorsuali e di valutare i candidati in
base a criteri unici nazionali individuati con decreto del ministro.
Chiediamo però che al termine di ogni prova concorsuale venga stilata
una graduatoria numerica a scorrimento, in modo che se il primo
candidato risulta vincitore in più sedi possa subentrargli il secondo
classificato. È ora importante tenere alta l’attenzione sulla
definizione dei criteri unici nazionali, che dovrebbero essere
specifici per ogni settore disciplinare e tenere conto del lavoro già
svolto dai candidati in università ed enti. A tal proposito chiediamo
che vengano adeguatamente valorizzati assegni di ricerca, borse di
studio, contratti a T.D., affidamento di corsi e tutte le attività
svolte in università ed enti pubblici di ricerca.
Nel complesso pensiamo che questo decreto non affronti minimamente i
nodi della crisi dell’università e della ricerca in Italia e, accanto
ad aperture propagandistiche, contenga in realtà elementi di ulteriore
precarizzazione della figura del ricercatore.
Alla luce di tutte le considerazioni fatte, riteniamo che
l’approvazione del D.L. 180 e la sua futura conversione in legge non
faccia in alcun modo venir meno le ragioni della protesta, che
continuerà finché i tagli introdotti dalla legge 133 non saranno
aboliti e fin quando il governo non avvierà una vera politica di
valorizzazione del sistema dell’università e della ricerca.
Dottorandi, ricercatori e docenti precari dalle università romane in
mobilitazione