Viva l’ignoranza (da carta on line)

Articolo da Carta on line (vai all’articolo) 
Viva l’ignoranza Pierluigi Sullo

[17 Giugno 2010] 

 

Scrive Franco Cassano sul numero di Carta in uscita questa settimana [nell’ambito della discussione su «la dittatura dell’ignoranza» aperto da Guido Viale]: «Pur essendo segnato da molte contraddizioni, questo blocco sociale [quello berlusconiano, ndr] è sicuramente reso coeso da un forte anti-intellettualismo. Ad esso gli intellettuali, in quanto legati allo Stato e ai suoi privilegi, appaiono non come portatori di valori e competenze necessari a tutti, ma come esponenti di aree lavorative parassitarie e protette, che permettono loro di godere di conquiste [stabilità, orario di lavoro, ferie, ecc.] sconosciute al piccolo e piccolissimo imprenditore». La destra al governo odia gli intellettuali, gli artisti, la cultura in genere, perché è portatore insano dell’ideologia del «fare», dell’«intraprendere», che non solo non sopporta regole – perciò elogia o tollera l’evasione fiscale – ma dà per inteso che il «cosa fare» sia già scritto, e inevitabile. Tutto il resto è perdita di tempo, distinguo inutili, sofisticazioni. Per questa ragione Berlusconi getta lì che dalla Costituzione andrebbero espunti i limiti sociali alle attività delle imprese, che fu esattamente il punto di equilibrio tra capitale e lavoro, ciò che permise la nascita della Repubblica «fondata sul lavoro».

 

La «dittatura dell’ignoranza» non consiste solo nel blob idiota delle trasmissioni televisive di intrattenimento e chiacchiera sulla «vita», di cui si può avere un orripilante riassunto, ogni sera, appunto grazie a Blob; non sta solo nella quantità di castronerie [vecchia parola simpatica adoperata dal mio professore di latino e greco al liceo] che Berlusconi riversa ogni giorno nell’imbuto dei media, tanto che il Tg1, oltre ad aver messo la foto del Capo nella nuova sigla, inizia quasi tutte le sere con la parola «Berlusconi». L’odio per la cultura diventa sempre più un disegno omicida, in senso stretto [anche se non si ammazzano persone, ma istituzioni e centri culturali].

Ci siamo accorti solo a lavoro completato che, quasi senza volerlo, nel nuovo settimanale avevamo elencato il dibattito di cui sopra, che dura da un po’ ed è molto interessante; un inserto speciale di 16 pagine sul «Mali culturali», ossia su come la manovra finanziaria tremontiana aggredisce teatro, cinema e altre attività inutili nell’epoca dell’«entertainment»; un reportage da una scuola del Veneto, che abbiamo fatto per indagare su come i tagli brutali alla scuola, che sono precedenti alla manovra, stiano sabotando la didattica in generale, la vita delle famiglie e dei bambini, e il ruolo di miscelatore di culture che la scuola può avere, ed ha, in un paese come Arzignano, in provincia di Vicenza, dove di migranti ce ne sono parecchi, e di loro figli anche. Pur essendo un comune a maggioranza leghista, Arzignano cerca di compensare con fondi comunali l’avarizia crescente dello Stato, che mette a rischio il tempo pieno. Ma fino a quando, visto che la manovra – come dicono in coro i presidenti delle Regioni – svuota le casse delle autonomie locali?

A corredo di questo reportage, abbiamo posto alcune domande a Domenico Pantaleo, il segretario della Flc Cgil [la Federazione dei lavoratori della conoscenza], il quale fa naturalmente notare come decine di migliaia di insegnanti in meno siano un attentato alla scuola, ma rende anche noto come la signora Merkel, pur varando una manovra finanziaria di entità superiore a quella di Tremonti, abbia deciso di investire più risorse sulla scuola e la formazione, non meno.

La semplice verità è che a questi berlusconiani, e al loro «blocco sociale», come dice Cassano, non importa nulla della storia e dei beni culturali [se non come «parchi tematici» per turisti], di cinema e di teatro, di ricerca e di università, di scuola di base e di asili nido [che infatti sono ormai più esclusivi dei club dove Bertolaso andava a farsi massaggiare]. Non so chi ha spiegato come proprio la «ricostruzione» dell’Aquila illustri plasticamente questa ideologia: «new town», per altro già cadenti, e totale indifferenza per la città storica, i suoi monumenti e la sua vita comunitaria. Nel nostro piccolo, il fatto che la legge per l’editoria, che avrebbe dovuto essere riscritta, giaccia in un angolo senza che si riesca a sapere se il governo onorerà i suoi impegni, è la ciliegia sulla torta.

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