Giavazzi e le tasse universitarie

(pessimo) Articolo sul Corriere di Giavazzi… Consigliamo attenta lettura.

LA RIFORMA E QUELLO CHE NON SI DICE

L’Università delle ipocrisie

Da almeno 30 anni ogni tentativo di riformare l’università è
fallito per la resistenza di interessi potenti, non disposti a
rinunciare ai propri privilegi. Il governo Berlusconi segue una
strategia diversa, che potrebbe essere il banco di prova per altre
riforme.

 

La legge finanziaria dello scorso anno — con un provvedimento
che prevedo verrà riproposto nel Documento di programmazione economica
— ha ridotto in modo drastico i fondi statali per il funzionamento
delle università: meno 8% il prossimo anno, meno 17% nel 2011. A prezzi
costanti i finanziamenti statali scenderanno del 20% in quattro anni.
Sono stati anche azzerati i fondi per l’edilizia universitaria. Poiché
la quasi totalità dei finanziamenti statali serve a pagare stipendi,
con un taglio del 20% la maggior parte delle università nei prossimi
due anni chiuderà. Sopravvivere indebitandosi (anche qualora lo Stato
permettesse ai rettori di farlo e le banche concedessero i mutui) è una
via preclusa ai più: a Siena le rate di ammortamento sui debiti
contratti rappresentano già quasi il 20% delle spese non vincolate, a
Firenze siamo intorno al 15%.

Mi sarei aspettato che il governo, dopo essere stato
inflessibile sui tagli, annunciasse una riforma profonda
dell’università ponendo gli oppositori (rettori, sindacati, baroni
vari) di fronte a una scelta: accettate o vi assumete la responsabilità
della chiusura delle università. Il ministro Gelmini da mesi ha nel
cassetto una riforma ambiziosa e contrastata (ad esempio i rettori si
oppongono alla proposta di vedersi sottratta la presidenza dei cda
degli atenei e non vogliono veder modificato il meccanismo con cui sono
eletti), ma non l’ha mai presentata. Perché?

A mio parere perché esistono due visioni molto diverse all’interno
del governo: sull’università così come su altre riforme. Il ministro
Gelmini—e i ministri «di spesa», dall’ambiente all’agricoltura — è
disposto a dar battaglia sulle regole, ma chiede che, a fronte di nuove
regole, tornino le risorse, o almeno un po’ di risorse. Dall’altra
parte il ministro dell’economia — memore dell’insegnamento del
presidente Reagan: «Affama la bestia, vedrai che diventerà mansueta» —
non è disposto a rinunciare ai suoi tagli. Come ho scritto più volte,
io penso che vi sia un solo modo per conciliare queste due posizioni:
alzare le rette universitarie. Oggi esse sono (in media) inferiori ai
mille euro l’anno, mentre ogni studente costa ai contribuenti circa
7.000 euro l’anno (quasi 12.000 se non si contassero i fuori corso).
Rette più elevate dovrebbero essere accompagnate da borse di studio
tali da garantire a chiunque lo meriti la possibilità di accedere
all’università. Anticipo l’ovvia obiezione: in un Paese di feudi molte
università non userebbero certo il merito come criterio di selezione.
Ma esistono altre strade?

La mediazione fra i ministri è compito di Berlusconi: è disposto
a spiegare agli italiani che l’università di fatto gratuita non solo
non ce la possiamo più permettere, ma è anche un sistema iniquo perché
trasferisce reddito dai poveri ai ricchi? (Gli operai rappresentano il
30% degli italiani, ma solo il 20% dei loro figli accede
all’università). Oppure a novembre, quando studenti e rettori saranno
insieme sulle barricate, farà ciò che hanno fatto i democristiani per
50 anni: nessuna riforma e qualche soldo in più per spegnere l’incendio?

Francesco Giavazzi
14 luglio 2009

 

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